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Interferenza nella politica e business dei villaggi turistici. Ecco come agiva il clan Bagalà

Operazione Alibante02 1

CATANZARO – Ha permesso di documentare oltre 30 anni di presenza della cosca Bagalà nella fascia tirrenica della provincia di Catanzaro e nei Comuni di Falerna e Nocera Terinese, l’operazione “Alibante” culminata con l’esecuzione di 19 misure cautelari. E’ emerso così il profilo di un clan dedito all’acquisizione delle attività economiche soprattutto nel settore turistico alberghiero ma che aveva acquisito tutta una serie di connivenze e tentativi anche di infiltrazione nelle amministrazioni comunali.

L’indagine partita dalla denuncia di un imprenditore

L’indagine è nata nel 2017 grazie alla denuncia di due imprenditori con il boss Carmelo Bagalà aveva intrapreso un progetto imprenditoriale che prevedeva la realizzazione di una struttura alberghiera. Il progetto era poi naufragato perché gli imprenditori si sarebbero trovati di fronte ad una situazione alla quale non potevano far fronte perché la cosca stava cercando di acquisire la titolarità dell’impresa e non versava le somme che avevano pattuito

“Quella riconducibile a Carmelo Bagalà, è un’organizzazione criminale – ha detto il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla – che ha visto la sua comparsa in concomitanza con una serie di attività di indagine che hanno interessato le cosche che tradizionalmente erano stanziate nell’area di Sambiase, quartiere di Lamezia Terme, in particolare confederate con la cosca Iannazzo, oltre ad avere rapporti risalenti con cosche storicamente collocate in quel territorio come i Pagliuso. I Bagalà hanno mantenuto rapporti strettissimi con esponenti della criminalità organizzata calabrese di diversi territori e questo sta a dimostrare il riconoscimento che viene loro dato anche in altri ambiti particolarmente elevati della criminalità organizzata”.

Gli investigatori hanno anche registrato interferenze nelle scelte e nelle elezioni a Nocera Terinese e Falerna. Condizionamenti che vanno dal 2014 in poi. Accusato di concorso esterno, infatti, è anche l’ex sindaco di Falerna, oltre al vicesindaco di Nocera Terinese. “La cosca era pervasiva – ha aggiunto Capomolla – in tutti gli ambiti quotidiani di quel territorio. L’esponente di vertice dei Bagalà veniva interessato per la risoluzione di qualsiasi problema”. Tra gli indagati vi sono, infatti, imprenditori di riferimento del territorio, qualificati avvocati, commercialisti.

Gratteri “indagine segnale di fiducia per i cittadini”

“Vorrei che questa indagine fosse un ulteriore segnale di fiducia per i cittadini calabresi e del territorio del lametino. Stiamo avendo i riscontri”. Lo ha detto il Procuratore della Dda di Catanzaro Nicola Gratteri nella conferenza stampa per illustrare gli esiti dell’operazione “Alibante” che ha portato all’esecuzione di misura cautelare nell’ambito dell’inchiesta “Alibante” per associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso esterno, voto di scambio, estorsione, scambio elettorale politico-mafioso, corruzione, reati aggravati dal metodo mafioso. Secondo quanto emerso dalle indagini la cosca Bagalà esercitava un controllo capillare del territorio compreso tra i Comuni di Falerna e Nocera Terinese, intervenendo su ogni settore strategico, in particolare quello turistico alberghiero, condizionando l’elezione degli amministratori e dialogando con cosche, anche potenti, nel resto della regione. Fino a quando due imprenditori non si sono ribellati e hanno denunciato.

“Sono tutti quei reati tipici – ha aggiunto Gratteri -che denotano il controllo del territorio in questo caso sui Comuni a 15 chilometri più nord di Lamezia Terme. Questa è un’indagine durata qualche anno con epicentro nel 2017 ed è stata curata quasi in modo quotidiano dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla. I carabinieri con la loro professionalità hanno portato elementi tranquillizzanti, dal nostro punto di vista, sul piano della prova”. Gratteri ha sottolineato che “il proposito è quello di incrementare, come Procura, questo rapporto di fiducia, di non stancarci mai di rivolgerci alle parti offese, agli estorti, agli usurati com’è avvenuto in questo caso nel quale abbiamo due persone che hanno denunciato. Due persone vessate, soffocate dalla famiglia di ‘ndrangheta Bagalà. Alla fine hanno avuto fiducia e si sono rivolte a noi, hanno avuto fiducia e questa loro fiducia è stata ripagata perché oggi abbiamo dato risposte alle loro domande di giustizia per le vessazioni subite nel corso di diversi anni”.

L’avvocato che “partecipava alla cosca”

L’avvocato aostano Maria Rita Bagalà, agli arresti domiciliari nell’ambito dell’operazione Alibante della Dda, sotto la regia del padre Carmelo Bagalà, ”partecipava alla cosca” , garantendo ”l’amministrazione dei diversi affari illeciti”. Lo scrive il gip di Catanzaro, Matteo Ferrante, nell’ordinanza di custodia cautelare sottolineando che il legale, oltre a essere la ”mente legale del clan”, curava gli interessi economici e finanzieri del sodalizio. Non solo, aveva assunto anche il ruolo di prestanome della società ‘Sole srl’ ed era l’intestataria dei beni patrimoniali e delle quote societarie della consorteria “costituenti il provento illecito della varie attività delittuose del clan”.

Per gli inquirenti, il marito Andrea Giunti, indagato anche lui nell’ambito della stessa inchiesta, non solo era a conoscenza dei fatti, ma amministrativa in prima persona e in maniera occulta, assieme a lei e al suocero, le attività della ‘CalabriaTurismo srl’, società interdetta per mafia nel 2016. Per l’accusa, i due coniugi erano riusciti a ottenere, indebitamente, un finanziamento pubblico di quasi 600 mila euro proprio attraverso la società ‘Calabria Turismo srl’. Soldi che avrebbero utilizzato per la ristrutturazione dell’Hotel dei Fiori a Falerna. Proprio a seguito dell’interdittiva antimafia, il finanziamento pubblico era stato revocato.

Nelle 432 pagine di ordinanza cautelare, il gip scrive anche come la Bagalà ”unitamente al padre e al marito si sia impegnata nel reperimento di altre risorse economiche di dubbia provenienza, finalizzate a perseguire il programma criminoso della cosca”. Dalle indagini, su Andrea Giunti è emerso che avrebbe organizzato ”operazioni di riciclaggio di denaro”. Non solo, avrebbe anche utilizzato proventi per acquistare una discoteca a Courmayeur. Anche per Giunti, la procura di Catanzaro aveva chiesto la misura cautelare, respinta dal gip che non ha ritenuto ”raggiunta la soglia della gravità indiziaria” nei suoi confronti.

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