COSENZA – Il nervosismo le salva la vita. Se Amalia (il nome è di fantasia), 35enne di Diamante, spazientita dalle lunghe ed estenuanti file d’attesa degli ospedali della
zona, super ingolfate per sottoporsi ad un esame specialistico, non avesse optato per un viaggio della speranza a Salerno, oggi di lei e di questa storia racconteremmo una storia dall’epilogo tragico. Da tempo, infatti, la 35enne avvertiva forti dolori all’addome, per le quali si era sottoposta anche ad una cura, senza però, vedere alcun miglioramento. Dopo innumervoli viaggi negli ospedali di Cetraro, Paola e Cosenza, viste le liste d’attesa intasate per prenotare l’esame necessario (la prima data utile era il 23 settembre del 2013), aveva dirottato la sua attenzone verso strutture private, convenzionato. Ma se in queste strutture le liste d’attesa erano praticamente abbattute, i costi no: duecento euro, senza sconti e senza possibilità di dilazioni, sull’unghia per sottoporsi all’esame specialistico in questione, la 35enne ha detto chiaramente no. Tornata a casa, s’è messa alla ricerca di un ospedale. Un giro di telefonate, un consulto tra medici amici, ed ecco la via d’uscita: ospedale di Salerno. Un medico di Diamante, amico di un sanitario in servizio presso il nosocomio campano, telefona al collega per chiedere ionformazioni. La risposta è di quelle che dovrebbe dare la buona sanità: «Mandala da me, conosco il medico che effettua quest’esame, basta venire solo con l’impegnativa e pagare il ticket. Può venire anche domani». Il medico, amico di Amalia, ringrazia il collega e riferisce alla 35enne l’esito della telefonata. Amalia, con il fratello e un cugino al seguito, sale in auto e ariva all’ospedale di Salerno. Il numerino di prenotazione è il 13, sul display taglia fila lampeggia l’11. Pochi secondi d’attesa e Amalia viene chiamata. L’esame dura quindici minuti. Il responso è drammatico: la 35enne deve essere operata d’urgenza. Rischia un ictus addominale, minor stroke. In un paio di minuti, viene allestita la sala operatoria. L’intervento riesce perfettamente. «Se mia sorella avesse deciso di accettare l’attesa, a settembre del 2013 non ci sarebbe arrivata viva. Voglio ringraziare i medici, i chirurghi e il radiologo dell’ospedale di Salerno che hanno prestato attenzione a mia sorella, trattandola come merita di essere trattato ogni paziente. Penso che se mia sorella fosse stata figlia, nipote, cugina, amante, mglie, fidanzata o abbia avuto qualunque altro legame affettivo o parentale con qualche pezzo grosso, avrebbe scavalcato le liste d’attesa. Che vergogna. Oggi più di eiri, mi sento davvero male esono poco orgoglioso di essere un calabrese».
