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Nel 2021 in Italia pressione fiscale più alta di sempre: record storico del 43,5%

Fisco 1

COSENZA – Se l’anno scorso la pressione fiscale in Italia ha toccato il record storico del 43,5% del Pil1, nel 2022, invece, è destinata a scendere al 43,1%. In altre parole, dopo più di 5 mesi dall’inizio del 2022 (pari a 157 giorni lavorativi inclusi i sabati e le domeniche), il contribuente medio italiano smetterà di lavorare per pagare tutti gli obblighi fiscali dell’anno (Irpef, Imu, Iva, Tari, addizionali varie, Irap, Ires, contributi previdenziali, etc.) e dal 7 giugno inizierà a guadagnare per se stesso e per la propria famiglia. È quanto emerge dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre dove, fanno sapere, che l’elaborazione di questo “contatore” è un puro esercizio teorico; tuttavia, questa analisi è interessante perché dà la dimensione, quando la si compara con i risultati degli altri paesi europei, di quanto sia spaventosamente elevato il prelievo fiscale e contributivo in capo ai contribuenti italiani.

Il livello record di carico fiscale raggiunto nel 2021 non è ascrivibile ad  un aumento del prelievo imposto l ’anno scorso a famiglie e imprese, ma alla decisa crescita registrata dal Pil (+6,6 per cento) che, dopo la caduta verticale registrata nel 2020 (-9 per cento), ha contribuito ad aumentare notevolmente le entrate. Nel 2022, invece, il peso del fisco, sebbene la crescita economica dovrebbe attestarsi attorno al 3 per cento circa, è destinato a diminuire di 0,4 punti percentuali. Ciò avverrà anche grazie alla riduzione delle imposte e dei contributi decisa dal Governo Draghi. Le principali misure approvate l’anno scorso sono: riforma dell’Irpef (-6,4 miliardi di euro di risorse), esonero contributivo di 0,8 punti percentuali ai lavoratori
dipendenti con una retribuzione mensile lorda inferiore a 2.692, euro (-1,1 miliardi di euro) e esonero pagamento Irap alle persone fisiche (-1 miliardo di euro).

Guardando la serie storica che è stata ricostruita fino al 1995, il giorno di liberazione fiscale più “precoce” è stato nel 20053 . In quell’occasione, la pressione fiscale si attestò al 39 per cento e ai contribuenti italiani bastò raggiungere il 23 maggio (142 giorni lavorativi) per scrollarsi di dosso tutte le scadenze fiscali. Osservando sempre il calendario, quello più in “ritardo“, come dicevamo più sopra, si è registrato nel 2021, poichè la pressione fiscale ha raggiunto il record storico del 43,5 per cento e, di conseguenza, il “giorno di liberazione fiscale” è slittato all’8 giugno.

Tra i big dell’UE solo la Francia ha un fisco più esoso del nostro

Dal confronto con gli altri Paesi europei non emerge un risultato particolarmente entusiasmante. Nel 2020 (ultimo anno in cui è possibile effettuare una comparazione con i paesi Ue) i contribuenti italiani hanno lavorato per il fisco fino al 5 giugno (quasi 157 giorni lavorativi), vale a dire 4 giorni in più rispetto alla media registrata nei Paesi dell’area euro e 6 se, invece, il confronto è realizzato con la media dei 27 Paesi che compongono l’Unione europea. Se confrontiamo il “tax freedom day” italiano con quello dei nostri principali competitori economici, solo la Francia presenta un numero di giorni di lavoro necessari per pagare le tasse nettamente superiore (+19), mentre tutti gli altri hanno potuto festeggiare la liberazione fiscale in anticipo. In Germania, ad esempio, questo è avvenuto 5 giorni prima che da noi, in Olanda 11 e in Spagna 20. Il paese più virtuoso è l’Irlanda; con una pressione fiscale del 20,7 per cento, i contribuenti irlandesi assolvono gli obblighi fiscali in soli 76 giorni lavorativi, cominciando lavorare per se stessi il 16 marzo: 81 giorni prima rispetto al nostro “tax freedom day”.

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