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Cosenza: nel calderone del ‘Sistema’ finiscono politici, imprenditori e professionisti

Arresti Cosenza blitz DDA 03

COSENZA – Un terremoto politico-mafioso vero e proprio quello che stamattina ha interessato le città di Cosenza e Rende. In manette sono finiti uomini dei clan cosentini, ma anche imprenditori, professionisti e amministratori locali. Spicca il nome del sindaco di Rende, Marcello Manna, 64 anni, posto ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Catanzaro contro le cosche cosentine della ‘ndrangheta, ed eletto primo cittadino nel maggio del 2019.

Manna accusato di “Scambio elettorale politico-mafioso”

Questa l’accusa mossa dalla Dda di Catanzaro nei confronti di Marcello Manna, sindaco di Rende e presidente dell’Anci Calabria. Il gip distrettuale ha disposto gli arresti domiciliari per il primo cittadino. Esigenze cautelari, scrive nell’ordinanza, “desumibili dalle modalità del fatto (aver stretto un patto di scambio elettorale politico-mafioso con membri apicali della criminalità organizzata) e dalla personalità dell’indagato che, seppur incensurato, ha dimostrato predisposizione a delinquere scendendo a patti con membri di un’associazione mafiosa, in particolare col gruppo D’Ambrosio“. La Dda cita, a supporto della tesi, le dichiarazioni del pentito Adolfo Foggetti, che “costituiscono un ulteriore elemento a fondamento della sussistenza delle esigenze cautelari, evocando contatti duraturi nel tempo con la criminalità organizzata cosentina”. Le parole di Foggetti si riferiscono alla campagna elettorale per le Comunali di Rende del 2014. “Tutti gli appartenenti al clan federato Rango-Zingari e Lanzino-Ruà – afferma il collaboratore di giustizia – si sono mobilitati per fare la campagna elettorale all’avvocato Manna, ad eccezione di Maurizio Rango, il quale da me interpellato e richiesto sul punto ebbe a riferirmi che i suoi familiari e/o parenti residenti in Rende erano particolarmente legati a Principe”. Foggetti rievoca il sostegno, a suo dire, offerto al penalista e dice che sarebbe stato “ringraziato da Marcello Manna in persona per l’impegno elettorale profuso“.

L’accusa della Dda “De Cicco collegato con cosche”

È accusato di associazione per delinquere semplice aggravata dal metodo mafioso e intestazione fittizia, l’assessore alla manutenzione e decoro urbano di Cosenza Francesco De Cicco. Nel corso dell’operazione antimafia operata questa mattina dalla Dda di Catanzaro, al politico è stata applicata la misura degli arresti domiciliari. “De Cicco – scrive il gip -, seppure sostanzialmente incensurato, ha dimostrato una significativa proclività a delinquere, nonché collegamenti con la criminalità organizzata (di lui ne parlano financo alcuni collaboratori di giustizia) mettendosi a disposizione anche di membri apicali (quali Piromallo). Emerge, quindi, una personalità incline alla commissione di delitti gravi tutelabile esclusivamente con una misura custodiale, in particolare quella degli arresti domiciliari, idonea a interrompere i predetti collegamenti”.

Il collaboratore di giustizia Silvio Gioia afferma che Daniele Chiaradia (elemento di spicco del gruppo Chiaradia-Orlando, ndr) e Mario Piromallo (appartenete al clan Patitucci-Porcaro, ndr) avevano un rapporto diretto e che “Chiaradia e Mario Gervasi gestivano una società di Gaming (Gechi Games) anche a Malta, e che l’avvio era stato possibile grazie ai finanziamenti elargiti da Piromallo, il quale li affiancava nella gestione servendosi dello schermo societario per riciclare il denaro di provenienza illecita“. In questo contesto si inserisce Francesco De Cicco, assessore del Comune di Cosenza, il quale – sostiene il collaboratore – “era legato sia al Chiaradia che al Gervasi, i quali gli riconoscevano il 45% degli utili, e che avendo il vizio del gioco aveva contratto debiti pari a euro 200mila euro con entrambi e indirettamente col Piromallo”.

Assessore Munno e sindaco Manna “favori a cosche per pacchetto di voti”

Ai domiciliari anche l’Assessore ai lavori pubblici, manutenzioni, e rapporti con la Rende Servizi srl del Comune di Rende Pino Munno (anche per lui l’accusa della DDA sarebbe quella di aver ottenuto voti in cambio della gestione di alcuni beni) mentre tra gli arrestati figura anche l’imprenditore Ariosto Artese fratello dell’assessore di Rende. Un contributo importante alle attività investigative sarebbe arrivato anche da alcuni collaboratori di giustizia tra cui Daniele Lamanna, Adolfo Foggetti e Franco Pino. Infine nell’inchiesta è finito anche l’imprenditore dell’Alto Tirreno cosentino Agostino Briguori, soprannominato “Berlusconi”, ritenuto il braccio economico del gruppo riconducibile a Roberto Porcaro.

“In cambio di un cospicuo pacchetto di voti, recuperato dal gruppo ‘ndranghetista, Munno e Manna, relativamente ai rispettivi ruoli pubblici, avrebbero favorito la sotto-articolazione ‘Gruppo D’Ambrosio’, mediante l’aggiudicazione di gare (in primis l’affare del ‘palazzetto’) e assicurando un perpetuo trattamento di favore comprensivo di lavori di urbanistica e di favoritismi lavorativi, nonché una serie di utilità (date/promesse) che, come detto, determinavano i D’Ambrosio a rinunciare ai classici 100 euro per voto”. Così scrive il gip distrettuale di Catanzaro Alfredo Ferraro nell’ordinanza che ha portato gli arresti domiciliari per entrambi i politici. Secondo il giudice, il sindaco di Rende Marcello Manna e l’assessore ai lavori pubblici Pino Munno – anche lui come il sindaco accusato di scambio elettorale politico-mafioso nell’inchiesta che stamani ha portato a 202 misure cautelari da parte della Dda di Catanzaro – avrebbero stretto accordi con il gruppo criminale D’Ambrosio.

La Dda di Catanzaro evidenzia come Adolfo D’Ambrosio, componente apicale del gruppo, “subito dopo la sua uscita dal carcere, a discapito di qualsivoglia resipiscenza, prendeva subito in mano le redini degli affari dell’omonimo gruppo pretendendo un incontro con il sindaco Manna”. Il trait d’union tra i D’Ambrosio e il primo cittadino sarebbe stato Munno. Il gruppo D’Ambrosio è ragionevolmente certo di “aggiudicarsi” la gestione del palazzetto (“ti ho fatto la campagna elettorale, le promesse sono promesse”) e, sempre secondo l’ipotesi accusatoria, “la conferma degli incontri tra i D’Ambrosio e Manna” verrebbe “ulteriormente offerta dalla telefonata di Massimo D’Ambrosio allo studio Manna per fissare un appuntamento, precisando che si erano già visti e che con Manna erano rimasti d’accordo che si sarebbero rivisti dopo 7-8 giorni. Peraltro, va evidenziato che alla domanda della segretaria sulle ragioni della richiesta di appuntamento il D’Ambrosio precisava che si trattava di una ‘pratica’ di cui Manna era già al corrente”.

Secondo l’accusa, Munno avrebbe “stretto un patto di scambio elettorale politico mafioso con membri apicali della criminalità organizzata”. Scrive il gip che il politico, sottoposto agli arresti domiciliari, “ha mostrato predisposizione a delinquere scendendo a patti con membri di un’associazione mafiosa, in particolare col gruppo D’Ambrosio”. Dalle intercettazioni emergerebbe “la sussistenza di un rapporto tra Massimo D’Ambrosio e Pino Munno, assessore del Comune di Rende già nel 2014”. Secondo la Dda, D’Ambrosio si sarebbe adoperato “per il sostegno elettorale a Munno e Manna: ‘Io sto portando a Manna e a Munno'”. Lo stesso D’Ambrosio avrebbe contattato “diverse volte” Munno “per chiedergli di risolvere problemi di manutenzione delle strade e/o dei palazzi, rivolgendo tali richieste con tono estremamente confidenziale, e avendo sempre risposte affermative da parte del politico”. L’assessore, secondo quanto riferito in una conversazione del 22 maggio 2019, viene definito come uno che “non chiude mai la porta” e il clan, anziché i “classici 100 euro a voto” (“ho rifiutato cento euro a voto”) avrebbe individuato “il tornaconto in altre ‘utilità'”.

Cosche cosentine confederate con vertice unico

Le cosche di ‘ndrangheta operanti a Cosenza e nel suo hinterland, dopo anni di divisioni e anche di scontri, si sono confederate dandosi una struttura di vertice riconducibile ai due principali gruppi, il cosiddetto clan degli italiani, nelle sue varie componenti, e quello degli zingari, anch’esso con varie articolazioni. È questo quanto emerge dall’inchiesta “Sistema” condotta da Carabinieri, Polizia e Guardia di finanza, con il coordinamento della Dda di Catanzaro. Le investigazioni si sono sviluppate attraverso un’attività di tipo tradizionale, con attività tecniche, servizi sul territorio, riscontri “sul campo”, con una parallela attività di acquisizione e analisi di dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, corroborati dai relativi riscontri, oltre alla acquisizione di plurime emergenze di altri procedimenti penali. L’indagine ha ricostruito la struttura e il modus operandi di una delle articolazioni, dedite al traffico e allo spaccio diffuso di sostanze stupefacenti di vario genere, nel quadro di quello che viene ipotizzato come il cosiddetto “Sistema” che governa tutti i rapporti tra i vari sottogruppi criminali della città di Cosenza e del suo hinterland.

Le commistioni tra imprenditori e criminalità organizzata

Le cosche cosentine, si dedicavano poi alle tradizionali attività predatorie quali estorsioni ed usura con condotte che, nel tempo, davano vita a una interferenza costante nello svolgimento delle attività economiche della città. La ‘ndrangheta cosentina si era dedicata anche all’organizzazione illecita dell’attività di giochi – anche d’azzardo – e di scommesse, oltre a reati di riciclaggio, autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di beni e valori. dall’inchiesta sarebbero emerse commistioni tra gli interessi di imprenditori del settore e quelli della criminalità organizzata per la quale il settore del “gaming” rappresenta una forte attrattiva, in quanto attività estremamente redditizia. Le indagini sono state condotte dai carabinieri del Comando provinciale di Cosenza, dalle Squadre mobili di Cosenza e Catanzaro, dal Servizio centrale operativo di Roma, dai finanzieri del Comando provinciale di Cosenza, del Nucleo di polizia valutaria di Reggio Calabria, dal Gico del Comando provinciale di Catanzaro e dallo Scico di Roma.

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