REGGIO CALABRIA – Appalti e commesse sotto controllate dalla ‘ndrangheta. Tre imprenditori e un pubblico ufficiale sono finiti ai domiciliari nell’ambito dell’operazione “Revolvo” condotta dalla Guardia di finanza in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip su richiesta del procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri. Nell’inchiesta sono indagate altre 10 persone tra cui funzionari del Comune di Reggio Calabria. Contestualmente, è in corso l’esecuzione del sequestro preventivo di 11 imprese attive nel settore edile, per un valore stimato in oltre 10 milioni di euro.
Alle persone poste ai domiciliari sono contestati, a vario titolo, i reati di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione e turbata libertà degli incanti, con l’aggravante dell’agevolazione alla ‘ndrangheta. Le indagini condotte dal Gico del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria, avrebbero consentito di disvelare l’esistenza di una cordata di imprenditori edili, contigui alla ‘ndrangheta e facenti capo a un unico gruppo familiare, che, grazie a cointeressenze e corruttele di individuati funzionari, sarebbero riusciti, in una trascorsa amministrazione cittadina, ad aggiudicarsi diverse commesse di edilizia pubblica. In particolare, sarebbe stata accertata l’esistenza di un consolidato sistema illegale fondato su ripetuti favoritismi protratti nel tempo, a fronte di utilità corrisposte ai funzionari pubblici, in un consolidato rapporto di “do ut des”.
Dagli accertamenti della guardia di finanza, inoltre, sarebbero emerse gravi condotte perpetrate da un carabiniere, il quale avrebbe consentito a uno degli indagati, sottoposto agli arresti domiciliari, di disattendere sistematicamente le prescrizioni derivanti dalla misura cautelare. Oltre a ciò, il graduato avrebbe fornito mezzi e apparecchiature tecniche al fine di consentire a soggetti investigati di eludere, tramite vere e proprie “bonifiche” ambientali, eventuali attività di intercettazione condotte a loro carico.
Coinvolto gruppo imprenditoriale Gironda
Sono finiti agli arresti domiciliari i tre fratelli Francesco, Giovanni e Filippo Gironda, di 74, 72 e 63 anni, accusati di associazione mafiosa ma l’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa per il reato di concorso esterno con la ‘ndrangheta. In particolare i tre sarebbero stati a capo di una struttura che, stando ai magistrati “si porrebbe in diretto rapporto con diverse famiglie mafiose del territorio reggino, assicurandosi l’esecuzione di moltissime attività di edilizia pubblica, poi ridistribuite all’interno del gruppo e a ditte “di fiducia” attraverso lo strumento del subappalto”.
In particolare, i Gironda avrebbero avuto rapporti con la cosca Serraino-Rosmini. L’inchiesta, infatti, è il seguito di “Araba Fenice” e poggia le sue basi sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Stefano Tito Liuzzo. Le aziende degli imprenditori arrestati, secondo gli inquirenti, rappresentavano a “tutti gli effetti il mezzo attraverso li quale porre in essere le condotte delittuose che hanno riguardato plurimi appalti pubblici indetti dal Comune di Reggio Calabria”.
