COSENZA – Come un ospedale da campo. E’ la sensazione che si prova, entrando nel pronto soccorso dell’Annunziata. Non per l’inefficenza professionale dei medici, nè
per l’inesperienza degli infermieri o per la scarsa partecipazione degli ausiliari, ma per la carenza di posti e di medici. A qualsiasi ora del giorno, del pomeriggio e della notte, si varchi la soglia d’ingresso del pronto soccorso dell’Annunziata, lo scenario non muta. Gente in fila, a volte con pazienti che non hanno pazienza, pazienza di aspettare il turno, pazienza di aspettare il tempo di una visita, o la formalizzazione di una diagnosi. Badate bene, non è un attacco all’utenza, sarebbe gratuito, pretestuoso e soprattutto non veritiero. E allora? E allora, il problema è semplicemente organizzativo e gestionale. Colpa del Dea che non apre. Tutti si affrettano a dire che l’apertura dovrebbe essere imminente ma, passano i giorni, le ore e non succede nulla. Ragion per cui il Pronto soccorso diventa sempre di più una polveriera. Questa situazione di stallo rende alta, altissima la tensione fra l’utenza e il personale medico, infermieristico e paramedico, il cui numero decresce sempre di più. Utilizzando una formaula matematica, potremmo dire che l’aumento dell’utenza è inversamente proporzionale alla diminuzione di chi dovrebbe garantire risposte. Soprattutto mediche. Non va sottovalutato un altro dato che è quello di un numero di persone che aumenta a dismisura. Il piano di rientro che ha indebolito le altre strutture sanitarie sul territorio ha finito per intasare le corsie, anche quelle preferenziali, del nosocomio cittadino. Tutto questo scatena la guerra tra i ricoverati e gli esterni. Ovviamente con i primi, e non potrebbe essere altrimenti, con l’assoluta precedenza, e i secondi a dover fare i conti con l’attesa. In tutto questo marasma generale, l’unica diagnosi certa che emerge è che sono tutti scontenti. Sono scontenti i medici per la mole di lavoro, sono scontenti gli infermieri per il raddoppio dei turni, sono scontenti i di dover correre da un reparto all’altro, per recuperare pazienti, cartelle cliniche e tutto quello che rientra nelle loro competenze e non solo. A proposito, proprio sulle specifiche competenze degli inservienti, ci sarebbe tanto da dire. Ma, questa è un’altra storia, che affronterempo. Poi ad aggravare ancor di più la situazione, c’è l’implosione di molti reparti. Ortopedia è stato solo il caso più eclatante ma, in realtà, è tutto l’ospedale “centrale” dell’Azienda bruzia ad avere numerose carenze. Nonostante tutto i medici, alcuni dei quali precari, che vivono con l’angoscia che quel loro giorno di lavoro potrebbe essere l’ultimo, per la scadenza dei contratti. Senza dimenticare, inoltre, che medici, infermieri ed inservienti lavorano anche in condizioni di rischio, esposti, spesso, a minacce o ad aggressioni fisiche e verbali. E se vogliamo essere pignoli, aggiungiamoci pure la carenza di vigilantes, anche su di loro s’è abbattuta la scure dei tagli per la politica di rientro. La situazione è drammatica, per utilizzare un termine medico, rimanendo in tema, potremmo dire che l’Annunziata, almeno dal punto di vista numerico, organizzativo e gestionale è in coma e non ci sono ottimistiche speranze su un suo imminente risveglio. E la Regione Calabria continua a dire che va tutto bene, anzi si esaltano i fondi erogati per la costruzione di nuovi ospedali. E per i vecchi? Bisogna affidarsi a Dio, in tutti i sensi.
