COSENZA – Una polveriera. Cosenza per due giorni consecutivi è stata “ostaggio” delle proteste di piazza. Dipendenti delle cooperative sociali e uomini e donne inserite come numeri nel calderone degli esodati, sono scesi in piazza per manifestare tutta la loro “rabbia” per quella condizione di disagio in cui vivono e versano, ma soprattutto, per essere stati dimenticati dalla politica e abbandonati dalle Istituzioni. Per tutta la mattinata, così com’era successo per la giornata di ieri, le febbre della tensione è stata tanta. Palazzo dei Bruzi, al pari della Prefettura, delle banche cittadine e dei luoghi simbolo del potere, sono stati “sorvegliati” dalle forze dell’ordine, scese in strada in massa e in disposizione antisommossa. Con il passare dei minuti, la tensione è salita, fino a raggiungere la “febbre” del dissenso, profondo e corale. Un dissenso veicolato anche dai componenti dei centri sociali che si sono uniti ai manifestanti, dilatando il senso della protesta e dandole un ulteriore slancio, soprattutto, di grande impatto sociale. Anche i ragazzi delle scuole si avvicinano. “Abbiamo saputo di questa manifestazione e siamo voluto venire. Non avrebbe avuto senso, far filone a scuola per andarci a chiudere in qualche centro commerciale o in una sala giochi a “sballarci” di noia. Siamo voluti venire qua, perchè al posto di queste persone che oggi sono qui, tra qualche anno, se le cose non cambiano ci saremmo noi. E allora che senso ha studiare, conoscere, se poi lo Stato, le Istituzioni, ti voltano le spalle e ti liquidano due manganellate, non perchè stai protestando, ma solo perchè vogliono farti capire chi è che comanda. Abbiamo scelto di aderire, perchè siamo solidali con questi fratelli e queste sorelle che lottano”. La folla aumenta, la tensione sale, lo sventolio delle bandiere della pace sovrasta le teste dei manifestanti. Compaiono anche le bandiere del “Che”, si alazano i pugni chiuso, sventolano anche le kefiah, simbolo per eccellenza della lotta palestinese, si alzano gli striscioni, compaiono le bandiere delle sigle sindacali, si levano i cori: “Chiediamo lavoro, ci danno polziia, questa è la vostra democrazia”. La contestazione, seppur nemmeno inziata, viene sedata con la forza. A manganellate. Dure, ripetute, violente. Claudio Dionesalvi, uno degli attivisti del movimento No Global, è insieme agli altri “compagni” del movimento, impegnato in prima linea a difesa della dignità sociale di tutte quelle persone che, per lo Stato, così come per le Istituzioni, finiscono per perdere non solo il lavoro ma vengono “scippati” anche della loro dignità. La due giorni di proteste e sit in di piazza, racconta di manganellate su padri e madri di famiglia, pesanti cariche sui dipendenti delle cooperative comunali che da settimane protestano per il rinnovo del contratto.
LA PROTESTA – È cambiata la gestione dell’ordine pubblico a Cosenza. Sembrano trascorsi anni luce da quando in città le rivendicazioni dei senza-lavoro ed i conflitti sociali erano gestiti con equilibrio. La guida dell’ordine pubblico in piazza adesso è affidata a responsabili nuovi, perlopiù provenienti da Reggio Calabria. E gli effetti si vedono. Ieri, così come oggi, all’arrivo del sindaco Mario Occhiuto che cercava di entrare nel suo ufficio, i circa 500 dipendenti delle cooperative che pretendevano di incontrarlo per un nuovo faccia a faccia, sono stati “ricevuti” dalla celere posta a presidio davanti all’ingresso del palazzo municipale. Botte, spintoni e randellate! Dallo scontro non sono usciti malconci solo i lavoratori. La rabbia e l’esasperazione hanno avuto la meglio. I manifestanti, decisi a non abbandonare il piazzale antistante il Comune, si sono trasferiti sulla vicina corso Umberto per bloccare il traffico. Intanto alcuni di loro salivano sul tetto del municipio, per poi scendere, solo dopo interminabili trattative con i mediatori di turno.Ma mano che passano i minuti, le forze dell’ordine aumentano.
LE COOPERATIVE – Create negli anni Novanta dal vecchio sindaco Giacomo Mancini per dare una possibilità di reinserimento sociale ad ex detenuti e famiglie svantaggiate, le cooperative comunali sono formate da 500 persone di cui circa 250 impiegate nelle pulizie in uffici, teatri, interventi da elettricisti, imbianchini, servizi meccanizzati, fogne, falegnameria e manutenzione. Non soltanto la cura del verde urbano. Sono diversi i politici cosentini che, sotto ricatto occupazionale, costringono questi lavoratori a prestazioni schiavistiche. Negli anni Novanta, Mancini le aveva istituite per prevenire microcriminalità e degrado. Evidentemente la pensa diversamente l’attuale giunta di centrodestra.
L’INCHIESTA – I guai per le cooperative sono iniziati nell’ottobre scorso, quando la procura di Cosenza ha aperto un fascicolo per presunte infiltrazioni criminali: un paradosso, secondo molti, un’inchiesta surreale, secondo tanti altri, se si pensa che queste strutture sono nate proprio per consentire a soggetti in difficoltà di uscire dalla dimensione della dimensione illegale. Così, spinta dall’ossessione legalitaria, da un giorno all’altro l’attuale amministrazione comunale ha deciso di procedere con il rinnovo degli incarichi mediante bando pubblico, pretendendo che le cooperative presentino fideiussioni, coperture assicurative salate e, incredibile ma vero, certificato antimafia! Di qui la protesta. Nel gennaio scorso i dipendenti hanno lavorato senza stipendio, perché non sarebbe pervenuta in tempo la comunicazione relativa all’indizione del bando. Il Comune pretende inoltre di conoscere l’elenco degli operatori svantaggiati, in palese violazione della normativa sulla privacy. Prima che esplodesse la vertenza, questi lavoratori percepivano al netto 620 euro al mese. Con il nuovo contratto, se anche vincessero la gara, ad ogni socio spetterebbero meno di 500 euro mensili. Non solo voglia di “pulizia”, dunque, nelle stanze dell’amministrazione cittadina, ma anche volontà di tagliare la spesa. Eppure, stando alle dichiarazioni dei presidenti, i servizi elettorali, se svolti dalle cooperative, costano 20mila euro. Affidandoli ai privati, salgono a 85mila. Il massimo del risultato col minimo dello sforzo: nell’estate scorsa, 24 dipendenti sono stati impiegati, mediante borsa lavoro, dalla società che gestisce lo smaltimento dei rifiuti. Hanno dovuto girare nei quartieri per introdurre la raccolta differenziata. Ma i risultati tardano a venire. Cosenza non è stata travolta dalla recente crisi regionale dei rifiuti, solo in virtù del fatto che spende milioni del proprio bilancio per interrare tutto in discarica. Ma di metodologie civili, sinora, neanche l’ombra. Da quando, venti mesi fa, è iniziato il suo mandato, questo è il primo vero scivolone politico per il sindaco Mario Occhiuto che pure aveva dimostrato sinora disponibilità al dialogo ed apertura nei confronti di certe istanze sociali. Prevale forse in lui la volontà di ricercare soluzioni improntate all’ultralegalità, ed al mito della privatizzazione dei servizi essenziali, che già hanno ispirato la precedente giunta di centro sinistra, responsabile della chiusura di importanti strutture pubbliche come la Città dei Ragazzi. Nel pomeriggio, dal primo cittadino è giunto un segnale di distensione: “La procedura di gara che abbiamo avviato – ricorda Mario Occhiuto – conterrà da un lato la clausola di salvaguardia per i dipendenti già impiegati nelle Cooperative che potranno così conservare l’attuale posto di lavoro, dall’altro consentirà di regolarizzarne i contratti. Inoltre, il Piano Salva Comuni al quale abbiamo richiesto di aderire, ci consentirà di scongiurare la procedura di dissesto riferito agli anni precedenti il 2010, dissesto già in atto presso la Corte dei Conti regionale che, se dichiarato, ci condurrebbe alla messa in mobilità di gran parte del personale e alla chiusura delle Cooperative sociali”. In realtà le cooperative, e la loro storia, rientrano in una dimensione più complessa, quella del welfare locale. Nell’intenzione di chi le concepì, dovevano e potevano rappresentare il primo stadio verso un ragionamento sul reddito di cittadinanza da erogare, su base municipale, tra quanti si prendono cura del territorio: una vicenda che non può essere trattata né mediante fredde gare d’appalto ad uso e consumo dei professionisti della progettazione, né all’interno di aule giudiziarie. Tantomeno attraverso i calcoli freddi di qualche assessorino esaltato dall’ideologia neoliberista delle nuove destre.
I VOLTI – Le facce dei manifestanti raccontano meglio di qualunque documento ufficiale come stanno le cose. “Ci dicono di avere pazienza, ma dovrebbero sapere che l’abbiamo esaurita tutta. Abbiamo finito anche la riserva di sopportazione e di speranza. La speranza, le belle parole, le promesse – dice Attilio, 42 anni, sposato, tre figli a carico di cui uno affetto da handicap psico-motorio – non portano nè soldi, nè lavoro, nè risolvono i problemi. Mia moglie non lavora, o meglio se e quando lavora, deve accettare contratti in nero, accordi sottobanco, per non parlare poi dei ricatti cui va incontro, io sono qui in piazza per rivendicare i miei diritti, non per chiedere nè un piacere, nè l’elemosina. Invece di ricevere aiuto, ricevo gli spintoni. Bella la democrazia”. Gli fa eco, Marianna. Lei di anni ne ha 35, anche lei è in piazza per rivendicxare la sua dignità, ma anche lei più che parlare della sua condizione di disagio, preferisce mostrare i segni delle manganellate. “Ai miei figli, seppur sono piccoli, racconterò che la loro mamma è stata picchiata, solo perchè s’è permessa di scendere in strada ed andare a reclamare un diritto. Dirò a loro, che lo Stato i diritti li riconosce solo ai figli di papà, alle persone importanti, a chi comanda, e che noi siamo cittadini di serie B, che dobbiamo prendere le botte prima di essere ascoltati, che dobbiamo ricevere tante porte in faccia prima che qualcuno ci permetta di entrare, che dobbiamo lavorare non per vivere, ma per sopravvivere. Che bella lezione di vita che darò ai miei figli”. Anche altri manifestanti si avvicinano, ascoltano, parlano, vogliono dire la loro. “Noi – dicono in coro – “simu cunsiderati piejiu d’a munnizza i’mmienz’a via” – noi non abbiamo diritti, non possiamo protestare, non poassiamo parlare, non possiamo ribellarci. Siamo bravi, utili e buoni, solo quando si avvicinano le elezioni. Noi possiamo prendere le manganellate senza motivo. Noi possiamo essere spintonati e picchiati senza che nessuno alzi un dito per dire basta. Ieri, così come oggi ci siamo permessi di avvinarci al sindaco, ai dirigenti comunali, agli assessori per parlare e siamo stati riempiti di manganellate. Come si possono manganellare le donne, come si può pestare qualcuno che è disarmato, che ha solo voglia di manifestare il suo dissenso, la sua rabbia. In che razza di Stato siamo. In un regime di polizia, dove il dirtitto alla parola è negato, dove il diritto a scioperare è bandito, dove protestare diventa una colpa. E’ mancato poco che non scattassero anche le manette”.
UNITI NEL NOME DEL LAVORO – In piazza si sono ritrovati, sia i dipendenti delle cooperative sociali che gli esodati, nonchè tutti coloro che cercano quotidianamente risposte dalle Istituzioni: i senza casa. Cosenza quando c’è da lottare e scendere in piazza non si tira indietro. Lo testimoniano anche i cori, gli slogan, i cartelli: Cosenza lotta, Cosenza c’è. Cosenza, la rossa, urlano i rappresentanti dei movimenti no global, resiste, sarà sempre in prima linea contro ogni forma di sopruso. Non è consentito a nessuno, calpestare la dignità sociale di qualcun altro. Ora lo sa anche il sindaco.
