MILANO – Uno scatto d’ira, non calcolato.
Un delitto di impeto, un “raptus” e non un omicidio premeditato e imposto dalle leggi della ‘ndrangheta. Questo e’ stato l’omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia sequestrata e uccisa nel novembre del 2009 a Milano, nel racconto del suo ex marito Carlo Cosco, gia’ condannato all’ergastolo in primo grado e che oggi, durante un’udienza del processo d’appello, ha voluto raccontare la sua versione dei fatti. “Non volevo uccidere la madre di mia figlia Denise”, ha ripetuto piu’ volte Cosco, che ha ricostruito quanto accadde la sera del 24 novembre 2009 quando, stando al suo racconto, si trovo’ con Carmine Venturino e Lea Garofalo nell’abitazione di un loro amico, Massimo Floreale. “Volevo fare vedere quella casa a Lea perche’ poi a Natale volevo fare una sorpresa e portarci mia figlia Denise. Le ho mostrato il bagno e le stanze e, mentre ho detto a Venturino di fare un caffe’, non so cosa è successo… Lea mi ha detto delle brutte parole e che non mi avrebbe piu’ fatto vedere Denise e non ci ho visto piu’… L’ho presa a pugni e buttata per terra con la testa…”.
Dopo la nuova versione sul delitto di sua madre raccontata oggi in aula dal padre Vito Cosco, Denise Garofalo “vuole sapere la verita’, sapere come e’ stata uccisa” Lea Garofalo. La sua reazione, riferita da persone a lei molto vicine, e’ di sconcerto per una ricostruzione che viene ritenuta “illogica” perche’ Cosco parla di un “raptus” che l’ha portato ad assassinare l’ex moglie con la quale, pero’, ha ammesso, c’era stato un riavvicinamento negli ultimi tempi. Secondo Cosco, la ‘scintilla’ che avrebbe innescato la sua furia omicida sarebbe stata la minaccia di Lea Garofalo di non farle piu’ vedere Denise, ma la ragazza stava per compiere diciotto anni e avrebbe potuto decidere di frequentarlo indipendentemente dalla volonta’ della madre.
“Non l’ho strangolata, dopo che le ho dato due pugni aveva gia’ perso conoscenza, quando ha picchiato la testa per terra secondo me era gia’ morta e ha iniziato a perdere sangue”. Cosi’ Carlo Cosco continua a descrivere l’omicidio dell’ex moglie davanti ai giudici della seconda sezione della Corte d’Assise d’Appello di Milano nel processo che vede imputate sei persone, tra cui lo stesso Cosco, per la morte della testimone di giustizia calabrese. Una versione che stride in piu’ punti con quella fornita dal pentito Carmine Venturino, il quale aveva detto che a uccidere Lea, strangolandola, furono i fratelli Carlo e Vito Cosco, mentre lui non era presente nell’appartamento milanese di piazza Prealpi. “Era verso le sette e qualcosa – ha spiegato Cosco durante il controesame del pomeriggio svolto dal pg Marcello Tatangelo – io, Venturino e Lea siamo saliti, abbiamo visto la stanza del letto e abbiamo parlato del bagno che era tutto vecchio, da rifare. Man mano che parlavamo sono successe delle parole (testuale, ndr). ‘Non ti faccio piu’ vedere Denise. Sei sempre uno str…, hai la testa che avevi prima, dicevi che la casa non ce l’avevi e invece ce l’hai’, mi ha detto lei. ‘Ma la casa non e’ mia’, ho risposto e lei mi ha detto che non se ne voleva andare piu'”. Il pg ha chiesto come mai mancasse dalla casa il cordino delle tende col quale, secondo Venturino, Lea sarebbe stata strangolata. “Ne sento parlare adesso di questo cordino”‘ ha ribattuto l’imputato. Dopo l’omicidio, “sono andato a casa a rilassarmi un po’, ero ancora tutto agitato, poi sono andato in via Montello, ricordo che c’era la partita… C’era mio fratello Sergio, gli ho detto e’ successo questo, cosi’ e cosi’, l’ho uccisa. Vedete come dovete fare per fare sparire il corpo. Lui mi ha detto: vai a consegnarti. Io non sono andato a consegnarmi perche’ non volevo perdere mia figlia Denise”. “Se organizzavo l’omicidio come dice la procura io adesso non sarei qui”, ha concluso Cosco, alludendo al fatto che non sarebbe stato scoperto.