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Cosenza: “la mia vita rovinata dalle slot, la vergogna e la paura di affogare”. La storia di Pierpaolo

slot machine persona che gioca

COSENZA – Slot machine e dipendenza: una storia che potrebbe essere quella di molti. L’operazione condotta dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli insieme ai Carabinieri del Comando Provinciale di Cosenza nei giorno scorsi, ha svelato un sistema di manomissione delle slot machine capace di sottrarre allo Stato milioni di euro in tasse evase. Un giro d’affari enorme, costruito con schede clonate, doppie memorie e persino un telecomando utilizzato per attivare software “regolari” durante le ispezioni. Un meccanismo pensato per ingannare lo Stato, ma che, come sempre, finisce per pesare sulle persone comuni: sulle famiglie, sulle persone, padri e madri, anche nonni e ragazzi, che ogni giorno, spesso in silenzio, si trovano intrappolati nella spirale del gioco d’azzardo.

È dopo aver ascoltato questa notizia e forse aver compreso i numeri di un sistema così grande e invisibile, un uomo di Cosenza ha deciso di parlare. Lo ha fatto non per denunciare un gestore, né per accusare qualcuno ma per raccontare la parte più silenziosa e dolorosa di questo mondo: quella di chi gioca, perde, crolla, ricade e tenta di rialzarsi.

La storia di Pierpaolo: «quel rumore maledetto delle slot»

“Mi chiamo Pierpaolo, ho 46 anni. Sono un marito e un padre, e per anni sono stato anche un prigioniero. Ho una moglie meravigliosa, un figlio di 16 anni che vorrei vedere diventare un uomo migliore di me, e una figlia di 12 che quando ride, mi sembra di sentire cantare Dio. Io lavoro e ho sempre lavorato. Sono un commerciante, ho un piccolo negozio e trascorro le mie giornate tra clienti, fornitori e conti che non tornano mai. Ma mentre la mia famiglia credeva che io stessi portando avanti la baracca, io portavo via tutto, un pò alla volta”.

“Perché io scappavo ogni giorno. Con la scusa di un pacco da ritirare, una consegna, un caffè veloce. Mi infilavo nei bar con le luci basse, dove nessuno ti guarda davvero. E lì c’erano loro: le slot. Per una fuga, una vincita, un colpo di fortuna. Mi convincevo che quella volta sarebbe stato diverso. E invece no: perdevo, ma poi tornavo, riprovavo, e perdevo ancora”.

“Mi ricordo che rientrando a casa, mia moglie mi sorrideva sempre – ci racconta Pierpaolo – mentre io dentro avevo solo vergogna. Ho giurato di smettere decine di volte. Giuramenti terribili: sulla salute dei miei figli, sulla vita di mia moglie. E poi? Passavano due settimane, forse tre. E ricadevo come un cane che torna al suo vomito e credetemi, non so come dirlo in modo più pulito. Era esattamente così”.

“Una volta ho pensato pure di farla finita, di sparire, di non essere più il peso che ero diventato. Mi tremavano le mani quando ci ho pensato e mi tremano ancora adesso mentre lo scrivo. Ma non l’ho fatto perché loro c’erano: mia moglie e i miei figli che non sapevano ma sentivano tutto. E allora ho fatto la cosa che per me è stata la più difficile di tutte: ho chiesto aiuto”.

“Ho ammesso che non ce la facevo”

“Ad un certo punto, dopo aver giocato praticamente ogni incasso, soldi delle bollette e persino quelli chiesti ad amici e parenti fingendo un momento di difficoltà in famiglia, ho finalmente ammesso a me stesso di essere malato. Perché la dipendenza è una malattia, e io ero malato da anni. Ora sono 6 mesi che non gioco e non perché sono diventato forte, ma perché non sono più solo. Mi sono fatto aiutare perchè avevo, ed ho ancora, bisogno di aiuto. La voglia a volte torna, certo, silenziosa, improvvisa ma so riconoscerla, la guardo e non ci entro più dentro”.

Quando penso ai soldi che ho buttato – spiega Pierpaolo – mi viene un nodo in gola e penso che quelli, erano i soldi delle vacanze mai fatte, dei regali rimandati, e io li ho gettati in una macchina. Dopo aver sentito l’ennesima inchiesta giudiziaria contro questo maledetto mondo che tiene per il collo tantissime persone, la rabbia brucia. Io ho capito di essere più forte, di aver perso tempo sì, ma anche tanti soldi, gettati letteralmente. Ora la mia rabbia la uso per non tornare indietro”.

“Ho voluto raccontare la mia storia non per farmi compatire ma perché se qualcuno, anche solo uno, leggendo queste parole, riconosce se stesso… Allora forse tutto questo dolore avrà avuto un senso. E credetemi a Cosenza e non solo, anche e soprattutto nei piccoli centri della provincia, di persone che vivono questa dipendenza ce ne sono tantissime“.

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