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‘Ndrangheta, 10-15 euro alla funzionaria corrotta per “curare” le pratiche fiscali dei clan

Soldi euro

BERGAMO – Un giro di false fatture per oltre 20 milioni di euro emesse da sette società cartiere gestite da prestanome nei confronti di imprenditori compiacenti per riciclare i proventi delle attività della ‘ndrangheta. Un sistema di frodi fiscali a favore di aziende ‘amiche’ ben radicato nella Bergamasca e collegato con la famiglia calabrese degli Arena di Isola di Capo Rizzuto che è andato avanti per anni con la complicità di una funzionaria dell’agenzia delle Entrate e di due professionisti. Per questo oggi la Guardia di Finanza di Bergamo ha eseguito misure cautelari nei confronti di 33 persone, di cui 18 in carcere e 15 ai domiciliari, nell’ambito di una indagine della Dda di Brescia, e ha effettuato perquisizioni in mezza Italia, dalla Lombardia al Piemonte, dall’Umbria alla Sardegna, fino alla Basilicata e ovviamente la Calabria e sequestrato beni per oltre 6,5 milioni di euro. Tra le persone da stamane in cella ci sono il presunto capo dell’organizzazione criminale, Martino Tarasi, ritenuto componente della famiglia Arena, e due commercialisti, Marcello Genovese e Giovanni Tonarelli, mentre ai domiciliari è stata posta, tra gli altri, Lia Alina Gabbianelli, “funzionario in servizio presso l’Agenzia delle Entrate di Milano 5”, accusata di corruzione in quanto, tra settembre 2019 e febbraio 2021, avrebbe agevolato Genovese “nell’esecuzione delle pratiche di attivazione e revoca dei cassetti fiscali e della fatturazione elettronica”.

Da 10 a 15 euro per ogni pratica svolta in favore dei clan

Si sarebbe messa “continuativamente a disposizione” di uno dei commercialisti che, secondo la Dda di Brescia, facevano parte di un clan della ‘ndrangheta radicato nel Bergamasco e con collegamenti con la famiglia Arena del Crotonese, la funzionaria dell’Agenzia delle Entrate finita ai domiciliari nell’inchiesta della Gdf di Bergamo che oggi ha portato a . E avrebbe incassato un “compenso indebito” da “10 a 15 euro per ogni pratica svolta” a favore del professionista legato alla cosca. In particolare, si legge nell’ordinanza del gip di Brescia Carlo Bianchetti, Lia Alina Gabbianelli, a cui viene contestata la corruzione, “funzionario in servizio presso l’Agenzia delle Entrate di Milano 5”, tra il settembre 2019 e il febbraio 2021, avrebbe agevolato il commercialista Marcello Genovese (finito in carcere) “nell’esecuzione delle pratiche di attivazione e revoca dei cassetti fiscali e della fatturazione elettronica” che di volta in volta richiedeva.

E gli avrebbe evitato “l’onere di presentarle allo sportello”, si legge nell’imputazione, perché sarebbe andata lei “a prelevare le pratiche” in un ufficio indicato dal commercialista e se ne sarebbe occupata di persona. O le avrebbe fatte “lavorare da ignari colleghi”. E avrebbe così ottenuto in cambio dal commercialista e da una presunta intermediaria “un totale di almeno 6.730 euro“. L’accusa a carico della donna è uno dei 106 capi di imputazione contestati dalla Dda di Brescia nell’inchiesta che vede indagate 66 persone, 18 finite in carcere e 15 ai domiciliari. Genovese, secondo l’accusa, sarebbe stato alle dipendenze di un altro commercialista, Giovanni Tonarelli, e avrebbe gestito la “contabilità” delle società “cartiere” usate dal clan per realizzare frodi fiscali e altri reati.

Utili anche i “prestanomi” 90enni

C’ha quattro commercialisti novantenni che firmano al posto suo (…) novant’anni che gli devono fare a un commercialista di novant’anni? Niente!”. Così Martino Tarasi, “appartenente alla famiglia Arena” della ‘ndrangheta e presunto capo del clan collegato e radicato in provincia di Bergamo, raccontava, intercettato, come il commercialista Giovanni Tonarelli (in carcere e che avrebbe fatto parte dell’associazione mafiosa) si preoccupasse “di non comparire personalmente”, potendo “contare su collaboratori che gli facevano da ‘prestanome’ per gli adempimenti più pericolosi”. L’inchiesta è la prosecuzione della “operazione Papa”, scattata dopo un incendio doloso nel 2015 in un’azienda di ortofrutta nel Bergamasco. Dalle indagini, poi, è venuto a galla, si legge nell’ordinanza del gip di Brescia, che “all’interno della P.P.B. Servizi&Trasporti srl si erano insediati alcuni soggetti collegati alla criminalità organizzata di Isola Capo Rizzuto”, ossia proprio Martino Tarasi, marito della figlia di Giuseppe Arena “scomparso a seguito di ‘lupara bianca’”. Tarasi, secondo le accuse, avrebbe messo in piedi un’organizzazione specializzata in reati “economico-finanziari con modalità standardizzate e professionali” basata su una serie di società “cartiere”. In un’intercettazione del gennaio 2020 diceva: “Solo fatture, dalla mattina alla sera (…) avevo due tre ragazzi con due tre aziende (…) loro fatturavano a sti clienti, i clienti gli facevano il bonifico (…) e io glieli riportavo in contanti e mi tenevo il 10%, il 15″. Ed un “ruolo fondamentale” nel mettere a segno le presunte frodi fiscali l’avrebbe avuto proprio il commercialista Tonarelli.

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