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Italia sempre più vecchia, culle vuote e pensioni a 69 anni nel 2050. In Calabria natalità -8,4%

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Italia sempre più vecchia, culle vuote e pensioni a 69 anni nel 2050. In Calabria natalità -8,4%

Nel 2024 meno di 370mila nati e minimo storico di 1,18 figli per donna. Si diventa madri sempre più tardi, mentre l’età pensionabile è destinata a salire: nel 2050 si andrà in pensione a 68 anni e 11 mesi

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ROMA – L’Italia continua a invecchiare e le culle restano sempre più vuote. I recenti dati Istat fotografano una crisi demografica profonda e strutturale, che nel 2024 ha portato le nascite a 369.944 unità, con un calo del 2,6% rispetto al 2023. E il trend appare tutt’altro che in rallentamento: nei primi sette mesi del 2025, secondo le stime provvisorie, si registrano 13mila nascite in meno (-6,3%).

Parallelamente, l’Italia si prepara a lavorare più a lungo: secondo la Ragioneria Generale dello Stato, l’età per accedere alla pensione di vecchiaia nel 2050 salirà a 68 anni e 11 mesi, arrivando a 70 anni nel 2067.

Il crollo della natalità

Il dato più allarmante riguarda la fecondità media, che nel 2024 tocca il minimo storico di 1,18 figli per donna, scendendo ulteriormente a 1,13 secondo le stime del 2025. Per dare un’idea della portata del declino: nel 2008, anno “record” degli anni Duemila, si contavano oltre 576mila nascite. Oggi sono quasi 207mila in meno (-35,8%). Il fenomeno non dipende solo dalla minor voglia di fare figli, ma anche dalla riduzione del numero di donne in età fertile, legata alla crisi demografica iniziata già negli anni ’70.

Si diventa madri sempre più tardi

Nel 2024 l’età media al parto ha raggiunto i 32,6 anni, in crescita rispetto ai 28,1 del 1995. Per il primo figlio, l’età media è di 31,9 anni, a conferma del ritardo cronico della maternità, sia tra le italiane che tra le straniere. Le regioni con l’età media più alta al primo parto sono Lazio, Basilicata e Sardegna (33,2 anni).

Le regioni più colpite

Nel 2025, i crolli più marcati delle nascite si sono registrati in:
– Abruzzo: -10,2%
– Sardegna: -10,1%
– Umbria: -9,6%
– Lazio: -9,4%
Calabria: -8,4%

Le realtà in controtendenza

– Valle d’Aosta: +5,5%
– Bolzano: +1,9%
– Trento: +0,6%

Nascite da stranieri: stabili ma in calo sul lungo periodo

Nel 2024 il 21,8% dei nati ha almeno un genitore straniero, ma il dato è in leggera flessione: da 80.942 nati nel 2023 a 80.761. Dal 2012 il calo è stato di oltre 27mila unità. I nati da coppie miste (un genitore italiano, uno straniero) sono l’8,1%, con un leggero aumento (+2,3%). L’incidenza è più alta al Nord (30,6%) e al Centro (24%) rispetto al Mezzogiorno (9,3%). In Emilia-Romagna e Liguria, la percentuale supera il 21%.

Famiglie sempre meno ‘tradizionali’

Nel 2024, il 43,2% dei bambini è nato da coppie non sposate, in crescita rispetto al 2023 (+0,8%) e più che raddoppiato rispetto al 2008 (+23,5 punti percentuali). Le regioni dove il fenomeno è più marcato sono Umbria e Lazio, dove oltre la metà dei nati ha genitori non coniugati.

«È un trend irreversibile senza politiche serie»

Le reazioni politiche non si sono fatte attendere. Raffaella Paita (Italia Viva) parla di un quadro “drammatico” che dimostra “l’assenza di politiche per la famiglia”. Per Marco Furfaro (PD), “il governo Meloni si riempie la bocca di parole come ‘famiglia’ e ‘natalità’, ma poi non fa nulla per sostenerle davvero”. Più tecnico l’allarme di Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità: “Non è più un segnale isolato, ma un trend strutturale che mette a rischio la sostenibilità sociale ed economica del Paese”.

La Calabria segue il trend nazionale

Un calo netto della natalità in Calabria nei primi sette mesi del 2025: si registra un -8,4% di nascite rispetto allo stesso periodo del 2024. E si confermano due tendenze ormai strutturali ossia che le donne diventano madri sempre più tardi, con un’età media al parto di circa 32,3 anni e l’incidenza dei nati da genitori stranieri è molto bassa, in linea con il resto del Mezzogiorno, e si attesta intorno al 9% del totale. La mancanza di politiche familiari strutturate, l’emigrazione giovanile e la precarietà economica continuano a pesare su una delle regioni già più fragili dal punto di vista demografico.

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