Area Urbana
LA LETTERA – Cosenza, ai disagi del malato si aggiunge la burocrazia svilente. L’odissea di una lettrice
Una storia fatta di stress e forte disagio di una cittadina cosentina, lavoratrice seppur precaria ed invalida per due patologie croniche che deve recarsi puntualmente all’ospedale di Cosenza per effettuare infusione di terapia biologica per mantenersi in piedi ed in apparente salute. La testimonianza in una lettera della nostra lettrice che ci racconta la sua odissea
COSENZA – “Sono affetta da oltre 12 anni da due patologie croniche autoimmuni per le quali mi è stata riconosciuta dalla ASL il 60% di invalidità. Per condurre una vita più o meno “normale” ho bisogno di fare infusione ospedaliera di un farmaco cosiddetto “biologico” ogni 6 settimane nel mio caso. L’inizio del mio calvario inizia molto lontano. Ma dal 2006 mi “curo” con il farmaco, iniziato presso la clinica “Le Scotte” di Siena in Toscana, dove grazie all’organizzazione di quella Regione e/o direzione sanitaria, il paziente oltre che dannarsi per superare mentalmente la scoperta di tale schiavitù a cui costringono tali malattie, non ha altro di cui preoccuparsi”.
“Si arriva in clinica il giorno prestabilito per l’infusione e lì la struttura ti fa trovare il farmaco nella giusta posologia e non si deve far altro che aspettare che goccia a goccia tale farmaco entri tutto nelle tue vene per stare “bene” per almeno 6 settimane e poi ritornare al solito appuntamento… a vita! Nella stessa struttura si preoccupano di farti i prelievi del caso, prima di iniettare il farmaco, ed i controlli necessari nel caso il paziente dovesse riferire delle anomalie. Decido sotto consiglio del mio medico di Siena di continuare questo “appuntamento a vita” nella mia città, Cosenza. Siamo sempre in Italia e dovrebbe essere gestito, grosso modo, alla stessa maniera, per il paziente e per la burocrazia che sta dietro a questa infusione; ed invece no.
A Cosenza prima della terapia ci si deve recare dal medico curante per prescrizione “visita di controllo per infusione” e per le relative prescrizioni esami del sangue pre-terapia (con tutta l’attesa che conosciamo bene quando si va dal medico). Pochi giorni prima della terapia è necessario fare i prelievi prescritti, e in uno di questi giorni che precedono la terapia, recarsi presso la cosiddetta “farmacia territoriale” a prendere il farmaco con tanto di borsa frigo, portarlo a casa per metterlo in frigo con tanto di corse ed organizzazione tra lavoro ed impegni”.
“Tra l’altro sottolineo – scrive la nostra lettrice – che tale “farmacia territoriale” è aperta al pubblico solo di mattina dalle 9 alle 13 esattamente coincidente con gli orari di lavoro di un normale cittadino e ancor di più ci si deve recare con tessera sanitaria e firmare alla consegna; quindi risulta anche impossibile farsi eventualmente aiutare da un familiare almeno nel ritiro del farmaco semmai il paziente in questione avesse un familiare automunito e soprattutto libero e disponibile per poterlo aiutare. E nel mio caso no, mia madre pensionata e non patentata e sorella lavoratrice e madre di 2 bimbi”.
“Arriva finalmente il giorno della terapia e allora ci si reca in ospedale, munita di borsa frigo e farmaco e con la famosa prescrizione di “visita di controllo per infusione” ma si deve passare dal ticket per il timbro e poi salire in reparto per l’infusione che tra preparazione e durata dell’infusione stessa passano almeno 4 ore, a cui sottolineo si devono aggiungere i precedenti giorni impiegati per prescrizione dal medico, ritiro farmaco e prelievo”.
“Come se non bastasse ogni 6 mesi scade il ‘piano terapeutico’ con cui si ritira il farmaco presso la farmacia territoriale. Bene. Il rinnovo di tale piano è una lunga odissea: un giorno dal medico curante per tutte le prescrizioni del caso, un giorno buttata ore ed ore al ticket dell’ospedale ed un’altra fila segue per fare il “test di mantoux” e dopo due giorni ci si deve ritornare (sempre facendo la fila) per far vedere l’esito del test sulla pelle e farsi rilasciare il referto. E poi ancora un altro giorno (ma solo di venerdì e dopo le 12.00) fare la fila in reparto (senza numerino, senza organizzazione) per far visionare ai medici del reparto tutti i referti per poterti rilasciare il nuovo piano terapeutico per poter ritirare il farmaco”.
“Sottolineo – conclude la nostra lettrice – che il tutto viene visionato da medici di reparto che dovrebbero aver visionato gli esami ogni volta (6 settimane nel mio caso) che si fa l’infusione, ma che invece schiavi anche loro di una soffocante (più per noi) burocrazia, devono dare visione ad una storia clinica che dovrebbero conoscere a memoria e dovrebbero già sapere e potrebbero snellire attese al paziente e interrogatori e test svilenti e veramente pesanti e ridicoli, vista la storia ormai vecchia di anni (11 nel mio caso). Tengo a sottolineare che i suddetti interrogatori e test-guida velerebbero una gentile minaccia di impossibilità a vita di tale farmaco perché costoso. Quest’ultima è solo una simpatica ciliegina che il paziente deve avere come guarnizione ultima a tutto il percorso”.



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