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Decesso in corsia di una 50enne: l’Annunziata condannata a pagare un milione di euro

Cosenza

Decesso in corsia di una 50enne: l’Annunziata condannata a pagare un milione di euro

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Violazioni delle norme sulla sicurezza pubblica, igiene e sanità. La donna contrasse una gravissima infezione nosocomiale (stafilococco aureo) a seguito di un intervento chirurgico

 

COSENZA – Il Tribunale di Cosenza ha vergato una severissima condanna all’Azienda Ospedaliera di Cosenza in persona dei legali rappresentanti pro tempore per il decesso di una donna di 50 anni che nell’ottobre 2010 contrasse indiscutibilmente una gravissima infezione nosocomiale a seguito di un intervento chirurgico e, dopo anni di battaglie legali iniziate dai familiari della vittima assistiti dagli avvocati Massimiliano Coppa, Paolo Coppa – durante le quali furono strenuamente negate le responsabilità dei medici che l’ebbero in cura e dei vertici dell’Ospedale di Cosenza – è finalmente stata acclarata  dal Tribunale di Cosenza – a seguito di un dettagliatissimo dossier di quasi cento pagine – la responsabilità che, in questo caso, ha riguardato non solo i sanitari che si occuparono della sfortunata paziente, ma anche la macchina organizzativa ed amministrativa posta al vertice dell’Ospedale di Cosenza.

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L’avvocato Massimiliano Coppa

In particolare è stato documentalmente accertato che la donna entrava in pronto soccorso e fu successivamente sottoposta ad intervento chirurgico ed in quella sede – è stato accertato  che contraeva l’infezione nosocomiale da staffilococco aureo – stessi batteri per i quali fu operato il sequestro delle sale operatorie dell’Ospedale di Cosenza. Come se non bastasse, quel che è stato considerato inaccettabile dagli esperti del Tribunale e più grave fu il fatto che, pur essendo stata diagnosticata l’infezione nosocomiale alla paziente mediante la somministrazione di esami ematochimici, la stessa non fu sottoposta a nessuna terapia antibiotica per un periodo di oltre 20 giorni.

 

Solo dopo un ulteriore ricovero in pronto soccorso per la riapertura cruenta della ferita chirurgica del precedente intervento la stessa fu sottoposta a terapia antibiotica, risultata però insufficiente sul piano posologico e non adatta a quel tipo di infezione al punto da creare un grosso ascesso purulento e profondo  che richiedeva un nuovo intervento chirurgico per revisione della ferita, sempre nelle sale operatorie oggi ancora sottoposte a sequestro giudiziario dalla Procura della Repubblica di Cosenza guidata da Mario Spagnuolo.

La giusta terapia antibiotica fu poi somministrata a distanza di oltre due mesi ma ormai i reiterati insulti infettivi avevano già debilitato ed intaccato irreversibilmente il fisico della paziente che, nonostante tutto, subì un lunghissimo periodo di allettamento che provocò inevitabilmente una trombosi degli arti inferiori, una conseguente embolia polmonare con inevitabile decesso della sfortunata signora.

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L’avvocato Paolo Coppa

In questa vicenda sono state – in modo più diretto e preciso del solito – chiaramente individuate molteplici e gravi inadempienze della struttura ospedaliera (la più grande della Provincia di Cosenza) in persona dei suoi legali rappresentanti in via apicale ed amministrativa, i quali si sono sottratti a quegli obblighi imposti dalla legge  di mettere a disposizione del paziente le strutture ed i mezzi necessari per l’effettuazione della prestazione sanitaria. Vana e quasi offensiva la risposta dei Consulenti nominati dall’Azienda Ospedaliera di Cosenza che, seppur muniti di competenze specifiche in tema di rischio clinico, hanno tentato di arrampicarsi sugli specchi, arrivando ad affermare che l’infezione contratta era stata portata dalla paziente all’interno dell’Ospedale, così suscitando lo sdegno della famiglia della sfortunata donna che – a causa di ciò ed a seguito della sentenza emessa dal Tribunale di Cosenza – ha deciso di tutelare i propri diritti e soprattutto quelli relativi alla pietà della loro defunta – da addebitare ad evidenti responsabilità di chi a vario titolo la ebbe in cura – nelle sedi penali e civili adatte. Nessun commento dai difensori della famiglia della donna.

Durissima la risposta dei Periti sul punto che hanno definito le considerazioni dei Consulenti dell’Azienda Ospedaliera “…del tutto scientificamente incomprensibile e fuorviante  risulta l’affermazione contenuta nelle osservazioni dei Consulenti dell’Azienda Ospedaliera……le osservazioni sono caratterizzate da imprecisioni….si ribadisce che l’evento morte poteva essere concretamente evitato adoperando quegli elementi di accortezza, diligenza e prudenzache la Medicina mette a disposizione del governo clinico del paziente…” In altri termini i periti – su sollecitazione dei consulenti di parte dell’Università Cattolica Policlinico Gemelli di Roma – nominati per la famiglia dall’avvocato Massimiliano Coppa – hanno definitivamente sancito che tutte le condotte omissive e violatrici di norme poste in essere dai medici ma anche tutti quei comportamenti posti in essere dai vertici generali, amministrativi e demandati al risk management  della struttura ospedaliera cosentina per inidonea organizzazione e diretta violazione della sicurezza nella erogazione delle cure, paradigma questo previsto dalla vigente legge sanitaria (Dlgs 502/92 e L.229/99) che – all’esito del deposito di questo voluminoso dossier peritale di quasi 100 pagine – potrebbe slatentizzare anche possibili contestazioni personali di rilevanza penale dei vertici dell’Ospedale, in ambito di palese violazione di norme sulla sicurezza pubblica, igiene e sanità. La perizia – quale atto d’ufficio – avendo riguardato un caso di decesso avvenuto per infezione ospedaliera – potrebbe anche essere acquisita a supporto nell’inchiesta già aperta il 14.11.2016 dalla Procura di Cosenza guidata da Mario Spagnuolo che ha comportato la chiusura ed il conseguente sequestro delle sale operatorie. L’azienda adesso dovrà risarcire la famiglia di un milione di euro e pagare le spese di giudizio e perizia

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