Calabria
L’alleanza tra i Bellocco e gli Spada, dentista cosentino costretto a redigere falsi certificati
Emergono nuovi dettagli dall’operazione “Blu notte” che ha portato all’arresto questa mattina di 65 persone. Tra questi ci sono infatti, esponenti del clan romano
REGGIO CALABRIA – L’alleanza tra la cosca Bellocco e il clan Spada di Ostia sarebbe nata nel circuito penitenziario. È quanto emerge dall’inchiesta “Blu notte” dei carabinieri che stamattina ha portato all’arresto di 65 persone. Monitorato il carcere di Lanciano i movimenti del boss Umberto Bellocco detto “Chiacchiera”, quest’ultimo, secondo l’accusa, è entrato in contatto con alcuni esponenti degli Spada tra cui Ramy Serour di 32 anni che, una volta uscito dal carcere – secondo la ricostruzione degli investigatori – dopo aver curato l’acquisto dei telefoni cellulari destinati a Bellocco, li ha consegnati a un altro detenuto il quale, approfittando del suo status di semilibero, li ha condotti all’interno.
Assieme al fratello Samy, di 34 anni, il gip ha disposto l’arresto di Ramy Serour che, in un’intercettazione del 26 settembre 2019 a un suo interlocutore racconta come i collegamenti tra i Bellocco e gli Spada siano iniziati all’interno del carcere: “La verità fra’, la verità! Oggi io sono stato invitato ad un tavolo, eravamo diciassette persone, tutti… la ‘ndrangheta!”. L’accordo con gli Spada ha riguardato pure i traffici di cocaina effettuati dalla Calabria verso il litorale romano e la risoluzione di situazioni conflittuali tra il clan laziale e alcuni calabresi titolari di attività commerciali nelle aree urbane di Ostia ed Anzio. Nel corso delle indagini è emerso il tentativo di vendita di una consistente partita di cocaina da parte del clan Bellocco in favore di narcotrafficanti di Ostia esponenti degli Spada. Per conto dei calabresi, a condurre le trattative con il clan romano sarebbe stato Gioacchino Bonarrigo, di 38 anni, anche lui arrestato nell’operazione di stamattina. Ex latitante arrestato nel 2017 ad Amsterdam, Bonarrigo si sarebbe recato più volte a Ostia per incontrare esponenti degli Spada che voleva rifornire con la droga importata dall’estero.
La montagna settore strategico
“I contratti delle montagne o si fanno in questa casa o se li fanno a Laureana, siccome io sono delegato pure da quell’altri si fanno in questa casa”. A parlare, il 3 novembre 2019, è Francesco Benito Pelaia, 49 anni, arrestato stamattina dai carabinieri perché ritenuto uno degli uomini di fiducia di suo cognato, il boss Umberto Bellocco. Agli atti dell’inchiesta l’intercettazione dimostra come uno dei settori strategici della cosca di Rosarno era quello della spartizione dei proventi relativi allo sfruttamento delle risorse boschive.
A tal proposito, il gip ha sequestrato la ditta individuale di Michelangelo Bellocco, 27 anni, finito ai domiciliari per concorso esterno. Nei confronti di suo padre, Francesco Antonio Bellocco, di 58 anni, il gip ha invece disposto l’arresto in carcere. Nel corso delle indagini sono emersi anche momenti di tensione con gli esponenti della cosca Larosa che, a un certo punto, non hanno più tollerato la “competenza mafiosa” delle famiglie Bellocco e Lamari che, a causa degli accordi stretti circa venti anni prima, si estendeva fino alle aree montane ricomprese tra il Comune di Laureana di Borrello e quello di Giffone.
Accordi di spartizione dei boschi, messi in discussione dai Larosa che hanno provocato pericolose frizioni tra la cosca di Giffone e i Bellocco. Le tensioni sono state risolte durante un summit svoltosi il 6 novembre 2019 all’interno della “Palfruit“, un’azienda agricola di Rosarno dove il cognato del boss, Francesco Benito Palaia, “circondato da un manipolo di giovani sodali armati, giungeva ad un passo dall’uccidere a colpi d’arma da fuoco Massimo Larosa, – si legge nell’ordinanza del gip – venendo infatti bloccato in extremis da Massimo Lamari, anch’egli presente al delicato incontro in qualità di esponente apicale pro tempore della cosca Lamari di Laureana di Borrello”. Quando la situazione sembrava destinata a degenerare nello scontro armato, infatti, il peggio è stato evitato da Umberto Bellocco che, dal carcere, ha telefonato ed è intervenuto alla riunione di ‘ndrangheta scongiurando così un potenziale eccidio.
La cosca Bellocco avrebbe attuato un’opprimente pressione sulle attività economiche operanti nella zona di Rosarno. Le indagini dei carabinieri, infatti, hanno fatto luce sulle richieste estorsive del clan nei confronti dei titolari di molte attività economiche. Imposizioni che perduravano da anni e che servivano a finanziare le trasferte dei familiari dei detenuti che dovevano recarsi ai colloqui in carcere.
La cosca Bellocco ha imposto la cosiddetta “guardiania“, esclusivamente nell’intento di far sentire la presenza degli esponenti mafiosi nella zona. In sostanza c’era un controllo diffuso delle campagne, attuato attraverso persone incaricate di “farsi vedere“, esigendo pagamenti che variavano in base all’estensione del fondo posseduto e ai quali dovevano sottostare tutti, anche se formalmente affiliati alla ‘ndrangheta. I soggetti più riluttanti ad assecondare le pretese dei boss subivano furti e danneggiamenti a causa dei quali gli veniva imposto di rivolgersi ai rappresentanti della cosca che, così, agivano in surroga agli organi dello Stato. Inoltre, i vertici della famiglia mafiosa erano riusciti a intrecciare rapporti con alcuni imprenditori che ricercavano la loro copertura, stabilendo un regime falsato dove, alle corresponsioni economiche, conseguiva la possibilità di operare in ambiti di concorrenza alterata.
La cassa comune gestita da una donna
La “cassa comune” della cosca era custodita da una donna, Maria Serafina Nocera, di 69 anni, madre del boss Umberto Bellocco. Anche nei suoi confronti, il gip ha disposto il carcere. Sarebbe stata lei, secondo gli inquirenti, a gestire in maniera oculata i soldi del clan che dovevano servire per il sostentamento dei detenuti e per l’attuazione del programma criminale del figlio.
Medico cosentino costretto a redigere false certificazioni
Le investigazioni, infine, hanno permesso di riscontrare pure le forti pressioni subite da un medico odontoiatra di Cosenza costretto da Francesco Benito Palaia, il cognato del boss Umberto Bellocco, a rilasciare certificazioni che attestavano false patologie. Per i pm della Dda di Reggio Calabria, quei certificati servivano all’indagato per ottenere permessi medici spendibili come alibi che gli avrebbero consentito di allontanarsi dall’abitazione, dove era sottoposto agli arresti domiciliari, ed effettuare incontri con altri esponenti mafiosi.



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