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La rete e i “profanatori” dell’innocenza

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La rete e i “profanatori” dell’innocenza

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COSENZA – Quando l’orco finisce off line. Per fortuna. Nel lancio precedente, via abbiamo raccontato dell’operazione, coordinata dalla

polizia postale di Cosenza che, ha eseguito, su disposizione della Procura della Repubblica cittadina, cinque arresti per adescamento della prostituzione. Gli “orchi” in questione, con l’utilizzo di falsi profili, entravano in contatto con le loro “prede”, adescandole in chat. Ragazzine di tredici, quattordici e anche quindici anni che, hanno, in nome di un’amicizia in rete, ceduto alle lusinghe di quei cinque pervertiti, finendo per perdersi in un tunnel di disperazione e paura. Le ragazzine, convinte di avere a che fare con loro coetanei o persone interessate, tanto virtualmente, quanto realmente, all’amicizia e alle lusinghe di quei misteriosi profili, dall’identità perversa, si sono confidate con i loro aguzzini, raccontandosi. Ore e ore di chat in cui, le ragazzine hanno confidato ai loro interlocutori, sogni, paure, emozioni, pensieri ed emozioni. Ma, senza voler assolutamente demonizzare tutto quello che esiste in rete, le chat, purtroppo, così come molte piattaforme on line, nascondono segreti inconfessabili. Dai discorsi in chat, ai complimenti on line si sà il passo è breve. Basta un ciao, uno smile, un cuoricino, due parole giuste al momento opportuno, e la scintilla della complicità non impiega molto tempo a scoppiare. La rete, i social, le chat dovrebbero, anche perchè per questo sono state create, essere uno strumento di socializzazione. Un mezzo di conoscenza che, seppur virtuale e ovattato di mistero, non dovrebbe avere secondi fini o scopi che fanno a cazzotti con le regole del rispetto, della moralità e della legalità. Il resto di questa storia è purtroppo la cronaca di un inferno, una discesa nel precipizio, da cui le ragazze in questione sono state salvate, dopo che qualcuno, con troppa facilità e con altrettanza malvagità ed indifferenza per le loro vite e per la loro innocenza, le aveva scaraventate.

L’ESPERTO – Sul fenomeno della pedofilia on line e sulle tante, troppe, trappole di cui è opiena la rete, l’impegno delle forze dell’ordine, polizia postale su tutte, è massimale. La rabbia va tenuta lontana. Sempre. Altrimenti si rischia di sbagliare. E un errore può essere fatale: può mandare in fumo un’indagine e mettere in pericolo un’altra vittima”. Paolo ha 40 anni. E’ un cacciatore di orchi on line. Un agente della Polizia Postale e delle Comunicazioni. Ogni giorno si intrufola nel “sottobosco” delle chat, dove i pedofili si scambiano storie, fantasie, ma soprattutto foto e video. Li osserva, li ascolta e si finge uno di loro. Ha imparato il loro linguaggio in codice, le loro esigenze, i loro desideri. Ma ha imparato soprattutto che per sopravvivere a quelle immagini bisogna bucare lo schermo e rivolgere lo sguardo sempre e solo all’obiettivo: prendere il colpevole. “Non bisogna mai entrare in empatia con il minore che subisce l’abuso. Ogni foto, ogni video devono essere analizzati nel modo più oggettivo possibile per cogliere anche il più impercettibile dettaglio che possa essere utile ad identificare il contesto. Noi vediamo ma non guardiamo. E’ questo il nostro segreto”. Gli occhi azzurri di Paolo “non guardano più” da 11 anni. Da quando, cogliendo al volo un’opportunità professionale, è passato dal classico lavoro di poliziotto di strada ai crimini informatici. Dalle scene di omicidio agli abusi sui minori. “L’impatto è stato forte. Le immagini di violenze sui bambini non sono facili da gestire umanamente. Ma la sfida tra te e il pedofilo che è dietro il monitor è talmente grande che non hai il tempo di ascoltare le emozioni: devi agire”. E agire significa guadagnarsi la fiducia degli “amici giusti” per riuscire ad essere accreditato nelle chat più nascoste, là dove navigano i criminali di maggiore spicco. Ma ci vuole pazienza, possono passare anche mesi. “E’ come quando esci con una nuova comitiva: all’inizio resti in silenzio, ascolti i discorsi degli altri, capti i loro interessi. Ti ambienti e poi inizi ad interagire. Leghi di più con qualcuno e magari ricevi l’invito a un’uscita tra pochi. Così, ad esempio, entri in un forum in cui si parla di camping naturalistici e, riconoscendo qualche parola in codice, ti avvicini a qualcuno che ti invita a parlare in una chat dove si abbandonano le metafore e il linguaggio si fa più esplicito”. Ma agire può significare anche fingersi vittima. Paolo è l’agente che non ti aspetti. T-shirt e pantaloni sportivi ha un’aria informale. E informale e familiare è anche l’ambiente in cui lavora. “Siamo cinque amici prima che colleghi”. Avere un amico come compagno di scrivania aiuta a mantenere un contatto con la realtà. E a difendersi l’un l’altro per evitare che il dramma e la sofferenza che scorre sugli schermi dei pc entri in quella stanza dalle grandi finestre posizionate nella parte alta dei muri, al riparo dagli occhi esterni. “Ci sorvegliamo a vicenda, se mi accorgo che Luca (il suo collega più stretto, ndr) ha un momento di difficoltà, lo convinco per qualche giorno a staccare, ad occuparsi di qualche scartoffia”. E a volte, anche una battuta su un nickname scelto da un pedofilo può aiutare a tenere il distacco necessario. “Nessun cinismo, solo autodifesa”. Insieme con Luca, Paolo ha conosciuto tanti orchi. In rete e in strada. Paolo ha incontrato operai, professori, sacerdoti. Uomini sposati e non. Trentenni e sessantenni. E li ha arrestati. Il contatto quotidiano con la pedofilia non ha indurito il carattere di Paolo. Ha saputo “schermare” la sua vita privata. “Non parlo mai del mio lavoro neanche con gli amici più cari. Il timore è che qualcuno possa farsi un’idea sbagliata di un uomo che, seppure per una nobile causa, riesce a guardare per ore l’inguardabile”. Storie irraccontabili anche alla propria compagna. A casa, di quel mondo di orchi, resta solo la diffidenza.

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