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Tragedia funivia, il caposervizio confessa “forchettone messo anche altre volte”

Italia

Tragedia funivia, il caposervizio confessa “forchettone messo anche altre volte”

Va ai domiciliari Gabriele Tadini e tornano liberi Luigi Nerini, il gestore dell’impianto, e Enrico Perocchio, direttore di esercizio

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Serena Cosentino 3

VERBANIA – Dalle dichiarazioni dei dipendenti della funivia del Mottarone, tutte riportate nell’atto, “appare evidente il contenuto fortemente accusatorio nei confronti del Tadini“, il caposervizio dell’impianto, perché “tutti concordemente hanno dichiarato che la decisione di mantenere i ceppi era stata sua, mentre nessuno ha parlato del gestore o del direttore di servizio”. Lo scrive il gip di Verbania, Donatella Banci Buonamici, nell’ordinanza con cui ha disposto i domiciliari per Tadini e ha rimesso in libertà gli altri due fermati, spiegando che quelle dichiarazioni “smentiscono” la “chiamata in correità” fatta da Tadini. Nella tragedia del Mottarone a perdere la vita anche una 27enne di Diamante, Serena Cosentino, morta nello schianto della funivia insieme al fidanzato iraniano e ad altre 12 persone.

“Palese è al momento della richiesta di convalida del fermo e di applicazione della misura cautelare la totale mancanza di indizi a carico di Nerini e Perocchio che non siano mere, anche suggestive supposizioni”. Lo scrive il gip di Verbania Donatella Banci Buonamici nell’ordinanza con cui ieri ha rimesso in libertà il gestore della funivia del Mottarone e il direttore di esercizio e ha mandato ai domiciliari Gabriele Tadini, caposervizio, fermati mercoledì per l’incidente che ha causato 14 morti e il ferimento di un bimbo di 5 anni. Il gip parla di “scarno quadro indiziario” ancora “più indebolito” con gli interrogatori di ieri.

“Fu il caposervizio a ordinare di mettere i ceppi alla funivia”

É stato Gabriele Tadini, il caposervizio della funivia del Mottarone, a “ordinare” di mettere “i ceppi” per bloccare i freni di emergenza della cabina e la loro installazione era “avvenuta già dall’inizio della stagione”, il “26 aprile”, quando l’impianto tornò in funzione dopo le restrizioni anti-Covid. Lo ha spiegato un dipendente della funivia sentito come teste nelle indagini dei pm di Verbania, spiegando che il tecnico ordinò di “far funzionare l’impianto con i ceppi inseriti”, a causa delle anomalie al sistema frenante non risolte, “anche se non erano garantite le condizioni di sicurezza necessarie”.

“Tadini voleva condividere il peso addossando le colpe”

Lo stesso Gabriele Tadini ha ammesso di aver piazzato i forchettoni per disattivare i freni e ha sostenuto che il gestore Luigi Nerini e il direttore di esercizio Enrico Perocchio avevano avallato la scelta, sapeva bene che “il suo gesto scellerato aveva provocato la morte di 14 persone” e per questo avrebbe condiviso “questo immane peso, anche economico” con le “uniche due persone che avrebbero avuto la possibilità di sostenere un risarcimento danni“. Per questo ha chiamato “in correità” i “soggetti forti del gruppo”, per attenuare le sue “responsabilità”. Lo scrive il gip di Verbania.

Le “scarne dichiarazioni di Tadini“, spiega il gip, “rese peraltro di notte, dopo 7 ore dalla convocazione in caserma, alla presenza di un difensore d’ufficio”, non hanno consentito “alcun vaglio di attendibilità, né alcuna possibilità di dettagliare e circostanziare le accuse elevate contro i coindagati”. E, prosegue il giudice, “nemmeno alcun riscontro” è emerso “dalle dichiarazioni già rese dai dipendenti della Funivie Mottarone” sentiti nelle indagini il 25 maggio.

Le testimonianze: “ceppi installati frequentemente”

La cabina numero 3, quella che dopo la rottura del cavo traente è volata via causando le 14 morti, come ha spiegato il teste, “era solita circolare con i ceppi inseriti già da parecchio tempo, per evitare appunto l’inserimento del freno d’emergenza durante la corsa” che impediva “il funzionamento dell’intero impianto”. L’operatore che ha messo in funzione la funivia la mattina del 23 maggio, giorno della tragedia – ha messo a verbale il dipendente – avrebbe dovuto “rimuovere” i forchettoni, collocati la sera precedente, e su “autorizzazione del caposervizio”, ossia Tadini, “per effettuare la corsa di prova”. Ma quei blocchi non vennero rimossi, a detta del teste, su “ordine” di Tadini. Anche un’altra dipendente, come diversi altri sentiti e i cui verbali sono riportati nell’ordinanza, ha spiegato di sapere “per certo che Tadini ordinava l’applicazione e il regolare funzionamento dell’impianto anche con i ceppi installati sui freni di emergenza”. Ha detto di aver chiesto un giorno al tecnico se poteva togliere quei forchettoni e lui le avrebbe risposto “di lasciarli dove erano a causa di un problema all’impianto frenante” che faceva partire il blocco di emergenza.

Un altro teste, a cui sono state mostrate foto della carcassa della cabinovia, ha detto di essere “allibito dal fatto” che sulla cabina “ci sia un ceppo inserito”, che andava messo “solo a fine giornata per fare manutenzione”.

Prima che si rompa una traente o una ‘testa fusa’ ce ne vuole“. Lo avrebbe detto Gabriele Tadini, caposervizio della funivia del Mottarone, a un altro dipendente, come messo a verbale da quest’ultimo. Lo si legge nell’ordinanze del gip. Quando il tecnico gli “ordinò di non rimuovere il ceppo dalla cabina 3” un giorno, l’altro gli chiese, stando al verbale, se la cabina potesse viaggiare “con persone a bordo e ceppo inserito”. A quel punto, stando al racconto del testimone, Tadini avrebbe replicato che prima che si rompa un cavo traente, quello che si spezzò poi il 23 maggio, “ce ne vuole”.

“Tadini ordinò blocco freni”. Il Gip “si poteva dire di no”

Per la tragedia della funivia del Mottarone agli arresti domiciliari resta solo Gabriele Tadini, il dipendente con mansioni di caposervizio: era stato lui che, con una “condotta scellerata – si legge nell’ordinanza di custodia – in totale spregio della vita umana”, aveva deciso di lasciare inseriti i ceppi che bloccavano i freni di emergenza; e fu lui, una volta, secondo la testimonianza di un collega, a dire “prima che si rompa una traente (un cavo – ndr) ce ne vuole”. Ma non c’è prova che il gestore Luigi Nerini e il direttore di esercizio Enrico Perocchio, liberati entrambi, fossero d’accordo.

“Sul piano investigativo non la vivo come una sconfitta, siamo solo all’inizio“, dichiara il procuratore Olimpia Bossi annunciando nuovi accertamenti tecnici e una serie di conseguenti avvisi di garanzia. Il gip Donatella Banci Buonamici non ha accolto una serie di osservazioni dei pm. A cominciare dal timore del pericolo di fuga dei tre indagati, giudicato inesistente anche perché non basta che ci sia del “clamore mediatico” per dimostrare che qualcuno di loro volesse scappare. Poi “non convince” l’idea che i vertici dell’azienda di gestione non volessero fermare l’impianto, da poco riaperto, per ragioni economiche: “La stagione turistica – scrive il giudice – non è ancora iniziata” e almeno fino a giugno, con l’allentamento delle restrizioni anti Covid e la chiusura delle scuole, non sono prevedibili i grandi afflussi degli anni passati. Il giudice, infine, si spinge fino a vibrare una stoccata in merito al caso di un testimone – un addetto della funivia – che a suo dire “non avrebbe mai dovuto essere interrogato come persona informata sui fatti”, cioè come teste, bensì come indagato. Ora sarà necessario capire per quale motivo, il 23 maggio, poco dopo le 12.00, si è spezzato un cavo, cosa che ha provocato la “folle corsa” verso valle della cabina 3, priva del freno di emergenza, e lo schianto al suolo.

“Quando avremo un quadro chiaro delle società e delle persone da coinvolgere negli accertamenti tecnici manderemo degli avvisi”, spiega il procuratore Bossi. Ma è sui “forchettoni”, o i “ceppi” secondo il gergo degli operai della funivia, che il gip ritiene che l’ultima parola, nella caccia ai responsabili, non sia stata ancora detta. Si tratta di dispositivi che impediscono al sistema frenante della cabina di scattare in caso di necessità. Quando l’impianto è in funzione, devono essere rimossi. Eppure il 23 maggio c’erano. “Sono allibito”, ha affermato un addetto quando i carabinieri gli hanno mostrato la fotografia. Secondo le indagini era il caposervizio Tadini a ordinare di mettere o togliere i forchettoni (quando non lo faceva di persona), ma il gip afferma che almeno qualcuno di loro “poteva benissimo rifiutare“. Ora sarà la procura di Verbania a decidere se allargare la platea degli indagati. Tadini ha detto che dall’8 maggio lasciò inseriti i ceppi in varie occasioni “una decina di volte”. La cabina 3 aveva un problema alla centralina idraulica dei freni, si fermava a singhiozzo e nemmeno i manutentori della Rvs di Torino (al lavoro in subappalto per conto dell’altoatesina Leitner) erano riusciti a venirne a capo. Da qui la decisione di lasciarli al loro posto.

Tadini sostiene che “lo sapevano tutti” e, in particolare, il gestore Nerini e il direttore Perocchio, ma i due hanno negato e per il gip le testimonianze dei dipendenti accreditano la loro versione. Solo il verbale di un lavoratore, uno dei manovratori in servizio il giorno della tragedia, sembra confortare il racconto di Tadini. Ma il giudice non è convinto della genuinità del suo racconto. L’uomo – ha spiegato un collega – avrebbe dovuto togliere il forchettone, con l’autorizzazione di Tadini, prima di effettuare la corsa di prova. Non lo fece, e secondo il gip, quando fu interrogato, “sapeva bene del rischio di essere lui stesso incriminato per avere concorso a causare con la propria condotta, che poteva benissimo rifiutare, la morte d 14 turisti”.

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