Italia
Naufragio, interviene la Guardia Costiera: «nessun ordine può impedirci il soccorso»
ROMA – “Il soccorso svolto da un apparato dello Stato come il nostro è un’attività che richiede disciplina ed organizzazione, non estemporaneità ed improvvisazione. Per questo operiamo su una base giuridica certa e stabile. C’è la responsabilità penale diretta e personale dei nostri operatori. Non vi sono ordini o suggerimenti che possano farci derogare da questo modello”. Così il comandante generale della Guardia costiera, ammiraglio Nicola Carlone, ascoltato qualche giorno fa in audizione alla commissione Trasporti della Camera.
La Guardia Costiera, dopo il naufragio di Steccato di Cutro, è stato il corpo delle forze dell’ordine finito nel mirino della magistratura.
“L’assenza o inadeguatezza” degli apparati di soccorso degli altri Paesi vicini fa sì che, “in ossequio alla Convenzione di Amburgo, quando noi veniamo a conoscenza di unità” bisognose di soccorso, “anche se queste si trovano fuori dalla acque di responsabilità italiana, c’è l’obbligo di intervenire e ormai questa è una prassi frequente. Noi siamo sempre più impegnati – specifica Carlone – ad operare a distanze elevatissime dall’Italia e questo sta determinando un logorio del nostro strumento aeronavale: servono interventi urgenti”.
Dopo il decreto del 3 gennaio finora “ci sono stati 12 sbarchi di migranti da parte di navi ong e solo in due casi abbiamo dovuto comminare sanzioni: una volta per ragioni amministrative, la seconda perchè avevamo chiesto di rientrare nel porto, dal momento che la nave aveva una certificazione per 60 persone e ne stava caricando di più e noi eravamo già sulla scena d’azione”, prosegue il comandante generale della Guardia costiera, ammiraglio Nicola Carlone.
Quanto alla distinzione tra interventi di ‘law enforcement’ (cioè di polizia) e ‘sar’ (ricerca e soccorso), secondo Carlone “non c’è stato alcun cambiamento. Il concetto di law enforcement è stato introdotto nel 2003, ma da allora non è cambiato l’atteggiamento dei nostri operatori. Si identifica l’unità e si cerca di capire se è in grado di navigare in sicurezza. A volte parte prima un intervento di law enforcement che poi si trasforma in sar o viceversa”



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