Omicidio a Cosenza, Mirabelli conferma l’aggressione. La figlia di Gioffrè: «mio padre non era uno stupratore»

La figlia Giovanna: "il mio papà era una persona pulita, dentro e fuori, e non avrebbe mai fatto una cosa del genere contro una donna"

COSENZA – È terminato poco dopo l’ora di pranzo l’interrogatorio di garanzia davanti al Gip del tribunale di Cosenza di Tiziana Mirabelli, 47 anni, accusata dell’omicidio di Rocco Gioffrè. La donna, accompagnata dal suo legale, ha ribadito la versione resa nell’immediatezza della confessione, ovvero di aver colpito l’uomo per legittima difesa e di aver reagito ad un tentativo di aggressione a sfondo sessuale da parte del dirimpettaio, che sarebbe entrato in casa della 47enne con un coltello. Tiziana Mirabelli avrebbe raccolto il coltello caduto a terra dalle mani dell’uomo, colpendolo a morte. Inoltre avrebbe riferito di essere perseguitata da Gioffrè da diversi mesi. La donna ha infine negato di aver avuto una relazione sentimentale con l’uomo. L’avvocato, Cristian Cristiano, si è opposto alla convalida del fermo ed ha chiesto la revoca della misura cautelare del carcere per la discriminante della legittima difesa in quanto non sussisterebbe il pericolo di fuga.

La figlia “mio padre non era uno stupratore”

Ricostruzione smentita dalla figlia che, in diretta su Rai2, ha ribattuto duramente alle dichiarazioni rese dalla Mirabelli: “vogliamo giustizia, mio padre è stato ucciso due volte. La prima con le coltellate inferte, poi infangando il suo nome. Mio padre non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Inoltre sono spariti i soldi dalla cassaforte”.

È venuta sabato in casa nostro a farsi la tinta ai capelli

“Mio padre ha sempre aiutato economicamente Tiziana – spiega ancora la figlia di Gioffrè – perché per noi, era come una di famiglia. È anche venuta a casa nostra a farsi una tinta ai capelli sabato, mentre mio padre è stato trovato morto domenica ed aveva delle ferite alle mani che io stesso ho curato. Ci ha detto che se le era procurate con la vaporella”.

Le telecamere in casa Gioffrè

Lei ci manovrava dalle telecamere” ha spiegato ancora Giovanna Gioffrè sottolineando come a casa del padre fossero installate delle telecamere “una era davanti la porta d’ingresso perché, quando c’era mia madre, ammalata e sulla sedia a rotelle, se lui usciva per svolgere delle commissioni, riusciva a monitorare tutto dal cellulare per vedere se mia madre stesse bene. Secondo me quando ha ucciso mio padre – spiega ancora la figlia – lei aveva il cellulare di mio padre e poteva guardare tutti i nostri movimenti. Mio padre è stato ucciso quando non eravamo in casa. Inoltre – prosegue – abbiamo trovato la cassaforte aperta, mancano soldi e qualcuno è entrato in casa. C’era anche una seconda entrata (dalla finestra dal bagno) dove si poteva accedere da casa della Mirabelli. Lei avrebbe potuto entrare anche dal lì”.

Sono tante dunque, le zone d’ombra e gli aspetti da chiarire anche in merito alle dichiarazioni di Tiziana Mirabelli, che ha tenuto il corpo dell’uomo in casa per 5 giorni nonostante quello che ha descritto come l’essersi difesa da un tentativo di violenza sessuale. Insieme al portafoglio, sarebbero spariti anche 10mila euro, il cellulare e le chiavi di Rocco Gioffrè. Anche questo dettaglio la donna ha dovuto spiegare nell’interrogatorio, mentre si attende l’autopsia che permetterà di fare chiarezza su quanto accaduto in quell’appartamento.

I familiari ieri, attraverso il loro legale, avevano fatto sapere che non sentivano il padre da giorni, ma che avrebbero ricevuto messaggi dal suo telefono (evidentemente quando l’uomo era già morto), nei quali li rassicurava della sua assenza. Il padre infatti, che non era solito inviare messaggi ma telefonare, avrebbe comunicato di allontanarsi per qualche giorno invitandoli a non allarmarsi. L’ultima volta che le figlie lo hanno sentito risalirebbe alla mattina del 14 febbraio.

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