Area Urbana
‘Sangue Infetto’, depositate motivazioni su annullamento assoluzione del dott. Bossio
COSENZA – Sono state depositate le motivazioni della sentenza della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, che ha annullato la sentenza di assoluzione del dott. Marcello Bossio accogliendo il ricorso proposto dal difensore avv. Massimiliano Coppa – insieme con gli avv. Giovanni Ferrari e Luigi Forciniti – della famiglia del sig. Cesare Ruffolo, deceduto per una trasfusione infetta nel luglio del 2013.
I giudici di Piazza Cavour, rigettando il ricorso proposto dalla Procura Generale di Catanzaro, hanno ritenuto di confermare l’impianto accusatorio ipotizzato dalla Procura di Cosenza ed in particolare dal Dott. Salvatore di Maio, oggi Sostituto Procuratore Generale a Catanzaro, precisando che “… il ricorso delle parti civili è fondato…il punto della permanenza della parte civile nel giudizio in corso, pur dopo l’avvenuta citazione in sede civile di Ministero e Azienda Sanitaria è stato già affrontato nella decisione rescindente (alle pag.6 e 7) ed è pertanto precluso in questa sede….la decisione impugnata affronta con motivazione apparente il tema della eventuale responsabilità colposa del Bossio, derivante dalla riqualificazione dei fatti ed imposto nella decisione rescindente. Ed invero l’elusione del tema appare evidente, posto che il Bossio pur dopo l’intervento del CIO restava investito da una funzione di garanzia derivante dal ruolo dirigenziale e la eventualità che una delle sacche ematiche provenienti dal centro di raccolta di San Giovanni in Fiore potesse ‘rientrare’ da un diverso presidio ospedaliero non era affatto un evento imprevedibile, come evidenziato nella decisione rescindente (v.pag.13). La decisione di rinvio, pertanto, avrebbe dovuto esaminare in concreto l’adeguatezza degli assetti organizzativi predisposti dal Bossio al fine di realizzare il corretto adempimento (non solo nell’immediato ma anche nei giorni successivi) delle regole precauzionali sia generali che specifiche (derivante dalla riunione del CIO), lì dove ritiene – in modo apodittico – che tale punto non fosse stato oggetto di contestazione (pag.11 della decisione impugnata). Va pertanto accolto il ricorso delle costituite parti civili, con annullamento della sentenza impugnata e rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello…”.
La super perizia in sede civile
Depositata pure la super perizia in sede civile dinanzi al Tribunale di Catanzaro che ha confermato le responsabilità per negligenza del comparto addetto alla vigilanza degli emoderivati a firma dei Prof. Isabella Aquila e Carlo Torti dell’Università di Catanzaro, che hanno confermato le ipotesi chiaramente specificate dal Prof. Vincenzo Pascali, Ordinario di Medicina legale nell’Università Cattolica del Sacro Cuore – Policlinico Gemelli di Roma, e Prof. Pietrantonio Ricci, Ordinario di Medicina legale dell’Università di Catanzaro e del Dott. Berardo Cavalcanti quali Consulenti della famiglia Ruffolo: “..l’infezione contratta in regime di degenza del paziente si può definire nosocomiale. Pertanto, alla luce della valutazione organizzativa nell’ambito dell’emovigilanza, è possibile ritenere che in questo caso si possa rilevare una responsabilità censurabile nei termini della negligenza a carico della Struttura Sanitaria e del comparto addetto alla vigilanza degli emoderivati….questo Collegio ritiene che tale responsabilità sia da attribuirsi alla inefficienza della struttura sanitaria e degli organi preposti per vigilare sulla catena di custodia della sacca. …Si può dunque affermare che nell’ambito dell’emovigilanza non venivano rispettate le Linee Guida circa la catena di custodia e la sorveglianza circa eventuali contaminazioni…..alla luce della valutazione organizzativa nell’ambito dell’emovigilanza, è possibile ritenere che in questo caso si possa rilevare una responsabilità censurabile nei termini della negligenza a carico della Struttura Sanitaria e del comparto addetto alla vigilanza degli emoderivati……E’ possibile affermare che il sig. Ruffolo, a causa dell’infezione de quo, decedeva in data 04.07.2013. Tale infezione poteva essere evitata attraverso l’applicazione di corrette misure di sorveglianza delle sacche di sangue nell’ambito di una corretta emovigilanza. Questo collegio pertanto ritiene che la morte del sig, Ruffolo sia da porsi in nesso causale diretto con l’infezione e quindi con le condotte omissive di mancata vigilanza e sorveglianza delle sacche di sangue infette somministrate…”.
Un ulteriore tassello si aggiunge al lamento dei familiari di Cesare Ruffolo e del giovane Francesco Salvo, paziente scampato per miracolo alla morte, che conferma le numerose ipotesi scientificamente provate durante il processo di primo grado che pose in luce una lunghissima serie di omissioni gestionali, valutazioni di prevenzione completamente errate e sganciate dalle normative in tema di approvvigionamento, e trasfusioni di sangue esistente all’Ospedale bruzio e più precisamente nel reparto di emotrasfusioni dell’Ospedale S.S. Annunziata di Cosenza, dove sfilarono centinaia di testimoni e consulenti tecnici citati per capire tutte le dinamiche della vicenda che ha riguardato un gravissimo fatto culminato in una grave infezione di un paziente di nome Francesco Salvo, rimasto tra la vita e la morte per oltre 40 giorni, e del decesso del paziente Ruffolo che, a causa dell’elevatissima carica batterica contenuta nella sacca non è riuscito a sopravvivere.
Dalla parte delle persone offese, i difensori della famiglia Ruffolo, hanno espresso soddisfazione per il duplice risultato raggiunto in sede penale e civile auspicando una definizione ormai certa della vicenda mediante la più ampia tutela dei diritti definitivamente lesi alla famiglia Ruffolo per la quale è stato richiesto un risarcimento di tredici milioni di euro, mentre – dal canto suo – la Famiglia Ruffolo ha continuato ad evidenziare le criticità gestionali riferibili alla copertura assicurativa dell’Ospedale di Cosenza che pur pagando un premio assicurativo – ancora oggi – da circa tre milioni di euro annui, non ha inteso risarcire il danno da morte cagionato agli eredi di Cesare Ruffolo, considerato che – sempre per il tramite dell’avv. Coppa – per ottenere il ristoro delle somme vergate a titolo di provvisionale dal Tribunale Penale di Cosenza – si sono visti costretti a pignorare la scrivania dell’allora direttore generale Achille Gentile, la poltrona, i quadri della stanza della direzione generale oltre a prelevare quasi giornalmente tramite l’ufficiale giudiziario tutte le somme che venivano incassate dall’ufficio ticket dell’ospedale di Cosenza fino alla concorrenza delle somme stabilite dal Tribunale Penale di Cosenza. Ancora oggi, nonostante tutto, concludono i Figli della vittima, non risulta ben chiaro il meccanismo che ha indotto i vertici dell’ospedale di Cosenza a mantenere una linea così dura di fronte ad una tragedia immane come la morte di Cesare Ruffolo, addirittura pagando un legale esterno per poter opporsi inutilmente dl pignoramento con un aggravio di spese ulteriori che vanno ad aggiungersi ai quasi tre milioni di euro annuì spesi, per una copertura assicurativa.



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