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Pentita ridotta in schiavitù: nel mirino il clan Cacciola, 16 arresti
REGGIO CALABRIA – L’operazione dei Carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria è scattata questa mattina, in cooperazione con le forze di polizia olandesi e tedeschi.
Emesse 16 ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip su richiesta della Dda reggina, alcune delle quali eseguite dai carabinieri proprio in Olanda ed in Germania, nei confronti di appartenenti alla cosca di ‘ndrangheta di Cacciola di Rosarno, accusati a vario titolo di traffico internazionale di cocaina, sequestro di persona e riduzione in schiavitù. I fatti, iniziati nel 2006, hanno documentato, secondo quanto riferiscono i carabinieri, lo stabile inserimento di molti degli arrestati nel traffico delle sostanze stupefacenti. Nel corso delle indagini sono stati eseguiti sequestri di svariati sequestri di consistenti quantitativi di cocaina. Determinanti per le indagini che hanno portato stamattina all’operazione denominata ‘Mauser’ sono state le rivelazioni di una pentita legata da vincoli familiari con gli stessi vertici della cosca che l’avevano ridotta in schiavitù. Grazie alle sue dichiarazioni, sono emersi i comportamenti vessatori attuati dalla famiglia Cacciola contro la collaboratrice di giustizia da parte della sua stessa famiglia. Alla donna, costretta anche alla segregazione, secondo quanto riferito dai carabinieri, veniva attribuita la colpa del suicidio del marito, appartenente al gruppo criminale, avvenuto per circostanze mai del tutto chiarite.
La storia della collaboratrice di giustizia
Collabora con la giustizia da quando, nel 2005, il marito si è suicidato, Giuseppina Multari, la pentita dalle dichiarazioni della quale ha preso le mosse l’operazione dei carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria che ha portato all’arresto di 16 presunti affiliati al gruppo Cacciola della ‘ndrangheta. Il gruppo Cacciola è collegato alla cosca-madre dei Pesce, che ha registrato nella sua storia altre due donne pentite, Maria Concetta Cacciola, suicidatasi con l’acido muriatico, e Giusy Pesce, che vive oggi in una località protetta. Il marito di Giuseppina Multari, Antonio Cacciola, si suicidò al culmine di una serie di liti e contrasti con la moglie. I parenti di Cacciola attribuirono la colpa del suicidio dell’uomo a Giuseppina Multari, tenendola segregata per questo motivo in casa e riducendola in schiavitù fino a quando la donna riuscì a fare recapitare una lettera al padre per informarlo della condizione in cui si trovava. Il padre di Giuseppina Multari avvertì poi i carabinieri, che liberarono la donna.



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