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Tentata estorsione, assolti Abbruzzese e Zoubir

Rende

Tentata estorsione, assolti Abbruzzese e Zoubir

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Tribunale di Cosenza 9

La difesa incalza una istruttoria dibattimentale che dimostra troppe incongruenze. La parte offesa non ricorda neanche le denunce presentate all’Arma

 

RENDE – Assolti perché il fatto non sussiste. Il collegio difensivo di Rocco Abbruzzese e Hamid Zoubir ha smontato le accuse mosse dalla Distrettuale di Catanzaro di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso nei confronti di un imprenditore che nel febbraio del 2015 aveva denunciato i due imputati come presunti affiliati al clan degli “zingari” a Cosenza. Tre anni di istruttoria dibattimentale terminata ieri con un’assoluzione, nonostante la richiesta pesante di condanna formulata dal pubblico ministero Assumma a quattro anni e sei mesi e una multa di cinquemila euro. Il collegio difensivo composto dagli avvocati Filippo Cinnante, Rossana Cribari, Pasquale Marzocchi e Gaetano Maria Bernaudo hanno smontato il quadro accusatorio durante l’istruttoria dibattimentale dimostrando come la vittima nonostante ben tre denunce presentate ai carabinieri, durante la deposizione sul banco dei teste non ricordasse nemmeno quante volte avesse sporto denuncia e, di conseguenza, venendo meno la credibilità della parte offesa. La presunta vittima dell’estorsione, un imprenditore, nel dicembre 2014 decise di aprire una sala giochi all’interno del bowling di Quattromiglia a Rende. Non riuscì a pagare il fitto del locale facendo crescere vorticosamente il debito a 17mila euro. Debito che non pagò preferendo lasciare il locale aprendo nell’immediato un’altra sala giochi.

Un giorno si presentò ai carabinieri denunciando una tentata estorsione da parte dei due imputati. Dichiarò di avere un debito di 2700 euro, nei confronti del proprietario dell’ex sala giochi. Da qui si aprì l’attività d’indagine che portò all’arresto dei presunti estortori grazie ad una frase intercettata «C’è un problema…. devi 17mila euro….voglio sapere il giorno preciso quando me li dai… Oramai i soldi li devi dare a noi…». Prima di chiudere l’istruttoria dibattimentale è stato sentito un teste “necessario ai fini della decisione”, un collaboratore della parte offesa, e nello stesso tempo giocatore, che avrebbe reso una testimonianza contraddittoria rispetto a quella fornita dalla vittima. «Conosco il proprietario della sala giochi perché era anche proprietario di una pizzeria ed ero cliente. Aveva preso un locale a rende adibito a sala giochi il 9 dicembre del 2014. Io lavoravo dalle 20 alle 23 solo nel mese di novembre». Sulla conoscenza degli imputati dichiara «Non ho mai visto parlare, né entrare nella sala giochi Abbruzzese Rocco». E sui colloqui intercorsi tra la vittima e gli estortori «il proprietario della sala giochi non mi ha mai riferito dei colloqui con Abbruzzese Rocco; avanzava soldi il proprietario del locale , veniva la sera e diceva “se non mi dai i soldi ti caccio”. E il proprietario della sala giochi rispondeva “mo te li porto, mo te li porto”, ma non glieli ha mai portati, non mi ha mai detto nulla». Il teste poi smentisce di essere mai stato presente ad episodi in cui Abbruzzese avesse mai fatto minacce alla presunta vittima.

«La gestione della sala giochi l’aveva da un anno insieme ad un altro ragazzo di Corigliano Calabro, uno studente universitario. Non so come avvenivano i pagamenti. La somma era di 2 mila euro al mese per gestione e fitto e non 3500 per come aveva denunciato la vittima. Nel dicembre del 2014 quest’ultima lascia il locale e apre un’altra sala giochi a Rende. Ogni tanto mi chiedeva di andare al suo posto quando non poteva esserci. Non c’era una scadenza, andavo due, tre volte a settimana». Rispondendo alle domande dell’accusa ha chiarito di conoscere di vista Abbruzzese, di non conoscere un soggetto chiamato “il marocchino” e di non avere mai saputo che il proprietario della sala giochi aveva sporto denuncia dai carabinieri. Sul debito contratto dichiara: «forse doveva 10 – 15 mila euro. Me l’ha detto il proprietario della sala giochi e il titolare dei locali. Me lo dice a novembre “devo dare il fitto che non ho pagato, intorno a 15 mila euro». E ancora su Abbruzzese: Il proprietario del locale non so se conosceva Abbruzzese, non li ho mai visti insieme, non l’ho mai visto in sala giochi e non so se aveva una comproprietà sulla sala giochi»

 

La requisitoria del pubblico ministero

Chiusa l’istruttoria dibattimentale il pubblico ministero Domenico Assumma inizia la requisitoria in cui evidenzia prove sufficienti emerse dall’istruttoria dibattimentale a ritenere riscontro la responsabilità penale al di là di ogni ragionevole dubbio. Il processo si è caratterizzato in un clima omertoso. C’è stata una difficoltà a trarre le prove dell’oggetto di causa dalla stessa persona offesa che non si è presentata due volte in dibattimento dovendo ricorrere all’accompagnamento coatto. Tre anni prima, nel 2015 aveva presentato quattro denunce dai carabinieri per rendere dichiarazioni per come è merso in sede di dibattimento molto dettagliate per richieste estorsive da parte di Abbruzzese e del marocchino. La persona offesa ha descritto in modo dettagliato fatti e luoghi di due episodi estorsivi del 14 e 15 gennaio 2015, anche in udienza se pur sollecitato dal pm e dal giudice. Nell’udienza odierna il teste ha rilasciato dichiarazioni contrastanti sui punti principali su cui si fonda la tesi d’accusa. Qualcuno dice il vero e qualcuno dice il falso, dobbiamo capire chi dice cosa. Per quale motivo la persona offesa avrebbe dovuto fare menzione del teste odierno se le sue dichiarazioni fossero state false? Il pubblico ministero pone la domanda alla corte se il teste odierno sia credibile. Sette, otto mesi fa si reca in pizzeria dalla vittima e dice di non aver parlato neanche del processo in corso. E’ evidente che le sue dichiarazioni non sono meritevoli di fiducia». L’accusa ricorda che in fase di indagini la parte offese avrebbe voluto ritirare le denunce perché contattato dagli zingari. Quindi rende credibili le pressioni in fase processuale. Assumma termina la requisitoria con una richiesta a tre anni e sei mesi più uno per l’aggravante del metodo mafioso più cinque mila euro di multa.

 

Il collegio difensivo

Il primo a parlare è l’avvocato Gaetano Maria Bernaudo: «il pubblico ministero parla di prove sufficienti per dichiarare la responsabilità di entrambi gli imputati. La prova deve essere non solo sufficiente ma concordante anche alla luce della testimonianza resa oggi dal teste che smentisce la persona offesa dichiarando che mai nessun incontro c’è stato e mai è stata riferita nessuna conversazione minacciosa. Il teste oggi ha risposto in maniera del tutto spontanea. Ha parlato non solo dei rapporti tra lui e la persona offesa , ma dei rapporti che ci sono con il proprietario dei locali, parlando di un credito vantato da quest’ultimo di 15 mila euro. La parte offesa non ha mai dato una risposta spontanea alle innumerevoli domande poste. Non ha saputo fornire nessun tipo di spiegazione, anzi ha detto che non aveva nessun debito nei confronti del proprietario dei locali, se non quello di 3500 euro, mentre invece c’è una diffida per un credito di 21 mila euro.

Non c’è nessun riscontro in questo processo. Nell’esame del maresciallo dei carabinieri, nonostante avessero in mano due querele con una circostanza ben precisa, non è stato fatto nessun tipo di appostamento per dire che l’incontro è stato fatto. Perché il teste avrebbe dovuto smentire una persona con cui, ad oggi, ha un rapporto amichevole? Non avrebbe avuto nessun motivo a dire il contrario. Oltre alla mancanza di riscontro, manca anche per quanto riguarda l’attività intercettiva qualsivoglia attestazione dell’esistenza di un credito; lo stesso maresciallo riferisce che mai gli imputati hanno parlato al telefono. Cita un solo progressivo che non è riportato agli atti e non può mai costituire una prova o comunque un riscontro della testimonianza resa. Quindi abbiamo due prove contraddittorie, quindi avremmo già una richiesta assolutoria. Il teste odierno è stato citato perché fino a prima non si era formata la prova della responsabilità degli imputati. Il teste ha smentito quello che ha detto la persona offesa, va valutata la spontaneità e l’immediatezza delle risposte»

 

Discute poi l’avvocato Pasquale Marzocchi e parte dalla genesi del processo. «In realtà non ho mai creduto alla persona offesa. Oggi il pubblico ministero ha scomodato un principio fondamentale del nostro sistema penale che è quello del ragionevole dubbio. Però se si parla di ragionevole dubbio non si può concordare con la certa colpevolezza degli imputati. Perché se è pur vero che esiste il ragionevole dubbio allora esiste anche un problema relativo all’emergenza processuale. Vediamo effettivamente da quello che è uscito da questa istruttoria dibattimentale se la colpevolezza degli imputati è emersa senza alcun dubbio. Oltre al ragionevole dubbio valuteremo insieme se ci sia la certezza e dobbiamo parlare della circolarità della prova. Parte tutto dalle dichiarazione della persona offesa, delle querele e capire se quelle dichiarazioni apparivano logiche, senza astio e risentimento. Chiaramente c’era qualche incongruenza. Oggi però all’esito di quelle che sono state le attività investigative  e anche successive riteniamo che la Procura  debba fare un passo indietro soprattutto rispetto a quello che è la colpevolezza degli imputati.

Ho riletto al deposizione della parte offesa nell’udienza. Il comportamento è apparso tutt’altro che genuino e credibile. Un atteggiamento reticente. Anche lo stesso pubblico ministero, si legge nelle trascrizioni,  dice “Però lei deve dire la verità; lei è sotto giuramento, lei ha sporto querela”; “Non stiamo parlando di una querela di 20 anni fa, stiamo parlando di una querela che lei ha sporto tre anni fa, per un fatto grave. Se lei ha subito queste minacce se le deve ricordare”. La persona offesa non si ricordava di aver sporto querela. Bisogna rifarsi a quell’astio e risentimento che invitano a dubitare sulla genuinità della persona offesa. Alla precisa domanda della difesa “ma lei ce l’ha con il proprietario dei locali?” lui risponde “si, ce l’avevo con lui. Effettivamente sono rimasto un po’ male per quello che è successo”. Ecco la ragione dell’astio e del risentimento che induce a dubitare sul narrato della persona offesa. Una ulteriore ricostruzione che deve far dubitare sulla genuinità è l’antefatto: perché la parte offesa spinge sulla querela. E’ emerso questo debito prospicuo. In una prima dichiarazione sui pagamenti asserisce “No ma io non ho mai pagato in modo tracciabile, l’ho fatto tramite contanti”. Arriva a dibattimento e dice “ho versato degli assegni”. Però era un debito che ammontava a tremila euro. Invece oggi sappiamo che c’è un credito ben determinato di 17mila euro e oggi è stato ribadito da un teste imparziale. Ma chi dei due  è bugiardo? Il teste afferma non solo che non conosce Rocco Abbruzzese, “lo conosco di vista”, “non ho mai visto Abbrussese Rocco nella sala giochi” “sono a conoscenza del debito che aveva perché entrambe le parti me lo avevano riferito” e non parla dei tremila euro ma di 15 – 17 mila euro. La difesa ripercorre la deposizione del teste odierno. «Alla luce di queste emergenze processuali non si può dire che gli imputati sono colpevoli al di là di ogni ragionevole dubbio. Crolla il castello accusatorio, il teste risulta credibile e sgombra il campo da ogni dubbio confermando una serie di dati importanti»

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