Calabria
Processo Amelia, Vincenzo Iaquinta estraneo alla mafia. Ha agito per aiutare il padre
L’ex calciatore e campione del mondo รจ estraneo all’associazione mafiosa ed ha agito per aiutare il padre. Questo si legge nelle nelle motivazioni della sentenza nel processo Aemilia. Per i giudici, “lo strettissimo rapporto personale con il padre, condannato a 19 anni, lasciano il dubbio che egli abbia agito al solo scopo di aiutarlo”.
Il padre รจ stato condannato a 19 anni di carcere ed รจ rit
BOLOGNA – Vincenzo Iaquinta, ex calciatore campione del mondo condannato a due anni per una irregolare custodia di armi, รจ ritenuto dai giudici estraneo all’associazione mafiosa, di cui invece รจ parte il padre, Giuseppe ritenuto una figura “strategica nel sodalizio criminoso” con la ‘ndrangheta. Cosรฌ i giudici nel motivare la sentenza scaturita dal processo Aemelia ย la piรน grande inchiesta contro la โndrangheta radicata nel Nord Italia. L’estraneitร di Iaquinta alla associazione mafiosa e lo strettissimo rapporto personale con il padre lasciano il dubbio che egli non abbia agito nel perseguimento della finalitร tipica contestata bensรฌ al solo scopo di aiutare il padre“.
Giudici “cosa in emilia autonoma ma fedele a Grande Aracri”
La cosca di ‘ndrangheta emiliana al centro del processo Aemilia รจ un’organizzazione autonoma, seppur fortemente legata alla casa madre calabrese. Su questo concetto si sofferma la motivazione della sentenza: “limponente mole di prove raccolte nel corso del dibattimento ha confermato l’insediamento sul territorio di Reggio Emilia e della sua Provincia di una cosca di ‘ndrangheta di derivazione cutrese, sviluppatasi e diffusasi anche sul territorio delle province emiliane limitrofe e di quelle della bassa Lombardia, dotata di autonomia sul piano decisionale, organizzativo, economico nonchรฉ su quello operativo della esteriorizzazione del metodo mafioso, manifestatosi su questi territori ove si sono consumati la totalitร dei reati fine”. Lo conferma anche “l’autonoma determinazione di strategie pubbliche e politiche da adottare a tutela del gruppo anche nei momenti di fibrillazione” e la ricerca “di contatti con esponenti della politica, della pubblica amministrazione nonchรฉ della informazione locale, nel tentativo di influenzarla e di colpirla“. Ma autonomia non significa “recisione di qualsiasi rapporto con la casa madre e con il suo capo”, cioรฉ Nicolino Grande Aracri. Ma implica, “innanzitutto, collaborazione in vista della massimizzazione del reciproco profitto”. Nรฉ esclude “fedeltร e il rispetto che la cosca emiliana deve portare alla casa madre e al suo capo“, che si traduce in un dovere di informazione, in un ritorno economico (il cosiddetto ‘fiore’).
La cosca voleva imbavagliare la stampa
Da un lato “una campagna politico-mediatica” a sostegno della tesi “della discriminazione e dell’isolamento dei cutresi emigrati nella Provincia reggiana diversi anni prima“. Dall’altro azioni per “condizionare, addirittura imbavagliare, gli organi di informazione” ritenuti ostili. E’ questa, secondo i giudici del tribunale di Reggio Emilia, una delle grandi strategie attuate dalla cosca emiliana per affermarsi nel territorio. Lo evidenziano gli episodi di minacce a giornalisti al centro del processo, come quella di Gianluigi Sarcone ai danni del direttore di Telereggio Gabriele Franzini. La vicenda “si inserisce pienamente in una strategia del gruppo che mirava a controllare, condizionare, financo imbavagliare, la stampa e l’informazione in generale, per valorizzare la comunitร calabrese come risorsa per la collettivitร reggiana e per nascondere dietro questa immagine ‘pulita’, il radicamento della criminalitร organizzata di origine calabrese. Per fare ciรฒ occorreva – spiegano i giudici – impedire che venissero divulgate notizie di senso contrario e gravemente nocive per il sodalizio. Ciรฒ anche a costo di andare a colpire i singoli giornalisti con azioni intimidatorie”.



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