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Lavoro in smart working: più della metà delle aziende vorrebbe mantenerlo

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Lavoro in smart working: più della metà delle aziende vorrebbe mantenerlo

Per il Mezzogiorno potrebbe essere una strategia per migliorare le “prestazioni lavorative svolte al Sud per imprese del Nord”

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ROMA – A causa della pandemia di Covid, negli ultimi anni lo smart working è diventato una realtà quotidiana per molti lavoratori. Rimane tuttavia ancora una grande fetta di mansioni che sono considerate “non remotizzabili” (80%), soprattutto nelle piccole imprese. Nonostante questo, più della metà delle aziende, il 55%, che hanno sperimentato il lavoro da remoto vorrebbero continuare a utilizzarlo, e lo stesso vale per il 76,5% dei lavoratori. È quanto emerge dal rapporto “Attualità e prospettive dello smart working. Verso un nuovo modello di organizzazione del lavoro?”, presentato da Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche). I ricercatori hanno intervistato 15mila occupati (da almeno 18 anni) e 5mila imprese del settore extra-agricolo.

Per il 66% dei datori, lo smart working aumenta la produttività, mentre per l’80% degli occupati, in particolare le donne, migliora la gestione degli impegni privati e familiari. Nell’ultimo anno ha sperimentato il lavoro agile solo il 13,3% delle imprese, soprattutto nel Nord Est (70%), nel Nord Ovest (53%) e nel Centro (57%). L’88,6% dei lavoratori infatti ha continuato a recarsi sul posto di lavoro. Nel 2021 però, spiega il rapporto, il numero di coloro che “svolgono la propria professione in un luogo dedicato (un ufficio o una fabbrica) è calato del 9,3%”, rispetto all’87% del 2019. Invece “sono aumentati di riflesso i lavoratori ibridi (+3,5%) e gli homeworkers (+3,8%)”. Infatti nel 2021 a utilizzare lo smart working (10,2%) o il telelavoro (1,2%) sono state oltre 2 milioni e mezzo di persone, vale a dire l’8,6% degli occupati uomini e il 12,4% delle donne. Soprattutto per le lavoratrici la possibilità di non andare in ufficio è stata un’alleata utilissima nella gestione delle responsabilità familiari e nel work-life balance. Ne hanno però beneficiato, in generale, il 68% degli occupati e il 72% dei datori. Dalle interviste emerge anche un miglioramento della qualità lavorativa, con una maggiore autonomia rispetto a metodi, orari, ritmi, e luoghi di lavoro (nel 72% dei casi) e un risparmio di tempo sugli spostamenti (nel 90%).

Le maggiori criticità si registrano sul fronte dei rapporti umani: per circa la metà dei lavoratori e delle imprese, il remote working complica i rapporti fra colleghi e con i responsabili e aumenta l’isolamento. Molti degli impiegati d’ufficio (51,7%%) e in ruoli di alta dirigenza (44,8%) – i profili che più hanno usufruito del lavoro agile – affermano poi di aver dovuto essere sempre reperibili e connessi. Nonostante questo, circa il 47,3% dei lavoratori vorrebbe continuare a utilizzare lo smart working per più di un giorno alla settimana, il 16,7% a tempo pieno, mentre il 12,5% per un giorno solo. Anche se in maggioranza ad adottare il lavoro agile nel 2021 sono state le grandi (78%) e medie imprese (63%), è positivo anche il dato sulle piccole: il 31% di quelle con fino a 5 addetti ha investito in tecnologie e software a supporto delle attività smart. Invece il 28% di quelle con 6-9 addetti ha modificato i propri spazi di lavoro tradizionali. Quindi di smart working si continuerà a parlare a lungo. Per il Mezzogiorno, dove ora solo il 30% delle imprese vi aderiscono, potrebbe essere una strategia per migliorare le “prestazioni lavorative svolte al Sud per imprese del Nord (il cosiddetto southworking)”, ma anche per ripopolare le aree interne, afferma Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp. Più in generale, per tutte le aziende italiane rappresenterà “una soluzione per i problemi connessi all’elevato costo dell’energia”. In prospettiva si tratta quindi, conclude Fadda, di un fenomeno “destinato a riscrivere la geografia urbana dei nostri territori”.

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