Italia
Sequestro Mazzotti: il fratello «a mio padre dissero che se non pagava, avrebbero fatto a pezzi Cristina»
COMO – Il caso di Cristina Mazzotti rappresenta una delle pagine più tragiche e emblematiche della storia criminale italiana. Il 29 luglio del 1975, la giovane studentessa di 18 anni fu rapita a Eupilio, in provincia di Como, da un gruppo legato alla ‘Ndrangheta. Dopo 28 giorni di prigionia in condizioni disumane, la ragazza morì, e il suo corpo fu successivamente gettato in una discarica. Questo rapimento segnò il primo caso documentato di sequestro al Nord Italia con una vittima donna, gettando luce sull’espansione delle attività criminali mafiose al di fuori dei tradizionali territori di operazione. Si è tenuta a Como una nuova udienza del processo nei confronti di tre imputati accusati di essere i mandanti del sequestro e ritrovata morta il primo settembre successivo in una discarica di Galliate (Novara).
Sentiti i fratelli di Cristina
In veste di testimoni, la corte d’Assise ha ascoltato i fratelli di Cristina, Vittorio e Marina Mazzotti. “Ricevemmo la notizia della morte di nostra sorella il primo settembre – ha detto Vittorio, faticando a contenere la commozione -. Non posso dimenticarlo anche perché era il compleanno di nostra madre, che proprio il giorno in cui compiva 50 anni venne a sapere che sua figlia non c’era più”.
Vittorio Mazzotti ha spiegato che “Cristina era la piccola di casa, una ragazza brava e diligente” e “dopo il rapimento mio padre rispose alla prima telefonata. Gli chiesero 5 miliardi di lire di riscatto. Lui rispose che non era in grado di pagare e quelli replicarono minacciandolo di mandargli indietro la figlia a pezzettini. Papà era un uomo giovane e forte che ne aveva vissute e viste di tutti i colori, ma non sopportava quelle minacce. Alle successive telefonate risposi io”.
Il pagamento del riscatto, ha ricordato ancora Vittorio Mazzotti, alimentò la speranza di rivedere Cristina, ma i giorni passarono senza notizie. “Il primo settembre mio zio andò in questura a Como per chiedere informazioni e, siccome non tornava, anch’io mi misi al volante con un altro zio per sincerarmi di che fine avesse fatto. Per strada incrociammo la sua auto. Ci fermammo. Lui scese e in lacrime ci diede la notizia della morte di Cristina“. Del giorno in cui si venne a sapere del ritrovamento del cadavere ha parlato anche Marina Mazzotti: “Ricordo la disperazione dei miei genitori… Si misero a letto, e mio fratello e io ci mettemmo a letto accanto a loro sperando di poterli consolare. Ma c’era poco da consolare”.
Gli imputati sono Giuseppe Calabrò, 74 anni, reggino di San Luca residente a Bovalino (Reggio Calabria) detto “u’ duttiricchiu”, Antonio Talia, 73 anni, di Africo (Reggio Calabria) e il reggino Demetrio Latella, 71 anni, detto “Luciano”, residente nel Novarese l’uomo una cui impronta digitale fu trovata sulla carrozzeria della Mini sulla quale Cristina viaggiava la sera del rapimento ma che a Latella fu attribuita dal sistema Afis della polizia scientifica di Roma soltanto a fine 2006. Il quarto imputato, Giuseppe Morabito è deceduto per malattia alla fine dello scorso novembre, a processo già avviato. Si torna in aula il 16 aprile quando l’imputato Calabrò dovrebbe sottoporsi all’esame, unico dei tre ad avere accolto l’invito del tribunale.



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