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Caso Lanzino, lo sperma ritrovato sotto il cadavere non è compatibile con il DNA di Sansone e Carbone

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Caso Lanzino, lo sperma ritrovato sotto il cadavere non è compatibile con il DNA di Sansone e Carbone

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COSENZA – Cade l’impianto accusatorio fondato sulle dichiarazioni del ‘pentito’ Franco Pino.

Racconti basati sulle rivelazioni che i capiclan di San Lucido, Romeo e Marcello Calvano, avrebbero reso al ‘boss dagli occhi di ghiaccio’ mentre erano ristretti nel carcere di Palmi. Anche il collaboratore di giustizia Umile Arturi e Gennaro Genovese, fratello di Rosaria Genovese cui uccisione fu attribuita all’ex fidanzato Franco Sansone, confermaro tale versione. Il caso fu riaperto nel 2007 e nell’Ottobre scorso fu chiesto al Ris di Messina di analizzare una zolla di terriccio, ritrovata sotto il cadavere di Roberta Lanzino e stipata negli archivi giudiziari da oltre un ventennio. L’analisi del liquido seminale presente ha consentito di isolare il profilo genetico dell’uomo che nel lontano ’88 a Falconara Albanese stuprò la studentessa 19enne rendese per poi abbandonarla priva di vita tra le sterpaglie dopo averla accoltellata. Il Ris di Messina ha ieri depositato presso il Tribunale di Cosenza l’esito della comparazione del DNA ritrovato con quello dei presunti autori dell’efferato delitto: Franco Sansone e Luigi Carbone. Un colpo di scena inaspettato. Lo sperma ritrovato non appartiene nè a Sansone nè al defunto Carbone, vittima di lupara bianca a pochi mesi dall’uccisione della Lanzino cui profilo genetico è stato estrapolato dai tamponi salivari eseguiti sui familiari. All’orizzonte un vicolo cieco. I tre cugini Frangella a cui fu inizialmente attribuita la paternità dell’omicidio, poi assolti con formula piena, sembrerebbe siano gli unici che in quegli anni avrebbero potuto acquistare l’arma del delitto. Un particolare coltello in vendita in un’armeria di Stradella di Pavia dove risiede uno dei fratelli dei Frangella. Ma la loro posizione è attualmente archiviata. Resta la pista investigativa, mai perseguita, in cui si ipotizzava che nel caso fossero implicati i figli di noti professionisti cosentini, giovani della Cosenza bene. Un’ipotesi da sempre ritenuta una vile azione di depistaggio, ma che, forse, oggi potrebbe aprire nuovi scenari. Il prossimo 5 Marzo il maggiore Carlo Romano ed il maresciallo Giovanni Macrì del Ris di Messina compariranno in aula per relazionare sui dati emersi dalla perizia.

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