Calabria
Rifiuti come fertilizzanti, il Gip conferma l’obbligo di dimora per Eugenio Guarascio e la sorella
VIBO VALENTIA – Il Gip ha confermato l’obbligo di dimora per il patron del Cosenza Calcio Eugenio Guarascio 70 anni, di Lamezia Terme e sua sorella Ortenzia Guarascio, 59 anni, anche lei di Lamezia Terme, finiti tra gli 11 indagati nell‘inchiesta coordinata dalla Procura di Vibo Valentia sulle tonnellate di prodotto, qualificato come fertilizzante, ma costituito in realtà da rifiuti che sarebbero stati smaltito illecitamente su terreni agricoli nelle province di Vibo Valentia, Catanzaro e Reggio Calabria. Nei loro confronti era stata disposta ieri la misura cautelare dell’obbligo di dimora. Sono accusati del reato di inquinamento ambientale e la realizzazione di una discarica non autorizzata.
Il ruolo dell’ex dirigente della Calabria
Nell’indagine, oltre a Guarascio e alla sorella Ortenzia, è indagato l‘ingegnere Gianfranco Comito, di Vibo Valentia, ex dirigente del settore ambiente della Regione Calabria. Secondo gli inquirenti era lui il referente alla Cittadella dei Guarascio. E sarebbe stato sempre lui a garantire che lo stabilimento potesse trattare fino a 1.100 tonnellate di rifiuti a settimana smaltiti nelle tre diverse province della Calabria.
Nel mirino degli investigatori dei carabinieri del Nucleo operativo di Serra San Bruno e quelli del Nipaaf dei carabinieri forestali di Vibo Valentia, tre società: la Eco Call spa (con stabilimento a Vazzano) ed Ecologia Oggi, entrambe rappresentate da Ortenzia. Plastica, verto, un metallo pesante pericoloso come il Cromo. Al centro dell’attività investigativa il ciclo di trasformazione dei rifiuti effettuato all’interno di un impianto di recupero del vibonese.
L’attività investigativa, già tra il marzo e il novembre del 2021, attraverso intercettazioni, campionamenti e controlli, aveva portato alla denuncia di 11 persone e alla segnalazione di tre società per responsabilità penali ed amministrative. L’azienda oggetto di indagine ubicata nell’entroterra vibonese e operante nel settore del recupero dei rifiuti organici provenienti dalla raccolta differenziata, avrebbe dovuto produrre ammendante compostato misto ma non rispettando di fatto la procedura prevista all’interno dell’autorizzazione integrata ambientale, avrebbe generato un prodotto che non aveva perso la qualifica di rifiuto, contente plastiche, vetri e metalli, anche pesanti come il cromo esavalente andando ad inquinare irrimediabilmente i terreni agricoli dove il presunto fertilizzante veniva sparso.
Il procedimento produttivo, inoltre, sarebbe stato effettuato all’interno di capannoni, i cui portelloni sarebbero dovuti restare chiusi mentre di fatto l’attività veniva svolta mantenendoli aperti e non consentendo il corretto utilizzo dei filtri. Così si determinava l’inquinamento dell’aria a causa delle polveri e delle emissioni immesse in atmosfera. L’indagine ha consentito di cristallizzare la presunta condotta illecita di diversi soggetti, attuata attraverso attività decisionali, esecutive e materiali, connesse alle posizioni e alle funzioni, apicali e non, rivestite all’interno della stessa azienda.



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