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Sanità, calabresi in fuga verso altre regioni per farsi curare. Un macigno da 320 milioni

Calabria

Sanità, calabresi in fuga verso altre regioni per farsi curare. Un macigno da 320 milioni

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COSENZA – Da una parte il presidente Occhiuto che è riuscito a strappare un sì al Governo per l’arrivo in corsia di medici non specializzati, che potranno essere assunti ed evitare di dover chiudere interi reparti, per la mancanza di personale sanitario. Dall’altra, la bocciatura di Eurispes alla Calabria che è la regione con il maggior deficit dovuto ai costi per i cosiddetti ‘viaggi della speranza’.

Sempre più calabresi si rivolgono in strutture pubbliche di altre regioni per ottenere prestazioni che nella propria regione di residenza non si possono avere. Succede così che la Lombardia ha un saldo positivo che sfiora il miliardo di euro, mentre la Calabria, si trova al polo opposto con un deficit di 320 milioni di euro. La peggiore seguita dalla Campania con un deficit di 302 milioni. E’ quanto emerge dalla ricerca ‘Il Termometro della Salute‘, promossa dall’Osservatorio Salute, Legalità e Previdenza Eurispes-Enpam.

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Su questo il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, a margine della Conferenza delle Regioni, ha detto “le regioni nella sanità hanno bisogno di risorse ma soprattutto di riforme, a cominciare da quelle necessarie per rendere più agevole il reclutamento dei medici. Io governo una regione che è stata costretta a prendere dei medici da Cuba, stanno lavorando molto bene con grande soddisfazioni dei pazienti, ma è assurdo che medici italiani debbano dimettersi al pubblico per andare a lavorare all’estero perché sono meno pagati e poi noi dobbiamo prendere medici da fuori”.

Gli italiani spendono “di tasca propria” in salute per prestazioni e farmaci in tutto o in parte (pagamento di un ticket) non coperti dal SSN annualmente quasi 40 miliardi di euro, raggiungendo una quota del Pil superiore al 2%. A ciò si aggiunga l’intensificarsi della “mobilità sanitaria”, generato dalla necessità di rivolgersi a strutture pubbliche di altre Regioni per ottenere prestazioni del SSN di fatto non erogabili nel territorio di residenza a causa dei deficit strutturali della sanità regionale di appartenenza. Questa “mobilità sanitaria” nel triennio del Covid si è contratta, a causa delle restrizioni nella libera circolazione e dell’appesantimento della maggior parte delle strutture sanitarie pubbliche; ma considerando i dati del 2018 emergono forti squilibri territoriali relativamente ai pazienti “in “ingresso” e in “uscita” tra le diverse Sanità regionali.

Mobilità sanitaria, il Nord incassa e il Sud paga

Le Regioni con un saldo attivo sono Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana, e quelle che invece depauperano il loro budget sanitario sono quasi tutte le rimanenti Regioni centro-meridionali. Inoltre, gli importi versati dalle Regioni che “cedono” pazienti a quelle in grado di erogare le prestazioni, determinano una ulteriore difficoltà in budget sanitari già compressi dai piani di rientro. All’opposto, le Regioni che erogano molte prestazioni a cittadini non residenti possono contare su di un over-budget che rende possibili investimenti in strutture e personale, di cui beneficiano in primo luogo i cittadini residenti. In termini di efficienza, la “forbice” tra alcune Regioni del Nord e quelle del Centro-Sud, inevitabilmente si allarga.

Lombardia e Calabria ai due estremi

Ai due estremi, nel 2018 la Regione Lombardia ha riscontrato un saldo positivo di quasi 809 milioni di euro, mentre la Regione Calabria un deficit di quasi 320 milioni di euro e la Regione Campania di più di 302 milioni. Anche da ciò derivano impatti quali quello del mancato turnover del personale medico e infermieristico Oltre all’appesantimento dei “conti economici” delle singole sanità regionali, la “mobilità sanitaria” fa emergere la gravità del fenomeno rappresentato da quasi 1,5 milioni di cittadini che nel 2018 per curarsi hanno dovuto rivolgersi al di fuori della regione di residenza.

Sanità e servizi sono a rischio per 29 milioni di italiani

Otto Regioni promosse, ma di cui solo Veneto, Trento e Bolzano con ottimi voti; 7 rimandate e 6 bocciate, in base a una valutazione su 6 dimensioni che vanno dall’appropriatezza e l’equità delle cure agli aspetti economico-finanziari e l’innovazione. A restituire la pagella è il rapporto “Le Performance Regionali” del Crea – Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità che divide in due l’Italia, con “circa 29 milioni di cittadini residenti nelle prime 8 Regioni che possono stare relativamente tranquilli e altri 29 milioni nelle Regioni rimanenti, quasi tutte del Centro Sud, che potrebbero avere serie difficoltà nei vari aspetti considerati”.

L’analisi dei risultati delle Regioni e le relative valutazioni sono state assegnate, per l’undicesima edizione del rapporto, da oltre 100 esperti raggruppati in un Panel composto da esponenti di istituzioni, management aziendale, professioni sanitarie, utenti, industria medicale. Veneto, Trento e Bolzano hanno ottenuto il miglior risultato 2023 (con punteggi che superano la soglia del 50% del risultato massimo ottenibile).

Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Lombardia e Marche vanno abbastanza bene, con livelli dell’indice di Performance compresi tra il 47% e il 49%. Rimandate invece Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Umbria, Molise, Valle d’Aosta e Abruzzo, che raggiungono livelli di Performance abbastanza omogenei, seppure inferiori, compresi tra 37-43%, Sicilia, Puglia, Sardegna, Campania, Basilicata e Calabria, hanno livelli inferiori al 32%. Un quadro, sottolinea Federico Spandonaro, presidente del Crea Sanità e professore di Economia Sanitaria all’Università di Roma Tor Vergata, “che sottolinea la nuova impostazione di ammodernamento dell’assistenza che punta sul territorio e sulle cure a domicilio. Il sistema di monitoraggio ‘dinamico’, ovvero basato su più parametri, che abbiamo messo a punto offre anche una valutazione dei possibili effetti della riforma per l’autonomia differenziata”.

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